Intimità familiare e simbolo, la Madonna delle ciliegie a Torino
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Arriva dritta al cuore, all’intelletto, all’anima. Oggi, come ieri. La Madonna delle Ciliegie, dipinta da Federico Barocci a partire dal 1570, ha un linguaggio immediato. Non solo per la sua bellezza estetica, ma anche per il messaggio iconografico, devozionale, religioso che veicola e per il carattere colloquiale, intimo della scena sacra rappresentata.
Capolavoro del tardo Rinascimento
L’opera, identitaria della Pinacoteca Vaticana, è protagonista della diciassettesima edizione de “L’Ospite Illustre” alle Gallerie d’Italia – Torino, che celebra il decimo anniversario dell’iniziativa. Per un mese, dal 10 dicembre all’11 gennaio, ai visitatori del museo di Intesa Sanpaolo nel capoluogo piemontese, è offerta la possibilità di un contatto ravvicinato con uno dei massimi capolavori del tardo Rinascimento italiano.
Da Perugia al Vaticano
Il dipinto ad olio su tela, fu commissionato dal perugino Simonetto Anastagi, erudito e tra i fondatori dell'Accademia del Disegno di Perugia. Venne ultimato e consegnato nel 1573. Dopo il 1602 passò ai Gesuiti di Perugia. In seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù, nel 1773, fu trasferito al Palazzo del Quirinale, confluendo nell’Ottocento nella Pinacoteca di Pio IX. Dal 1935 è giunto nella nuova Pinacoteca Vaticana di Pio XI, dove tuttora si trova, esposto nella Sala 11 insieme ad altre tre opere di Barocci.
Il miracolo e l’intimità familiare
Il soggetto rappresentato è il "Riposo durante la fuga in Egitto”: la scena, spiega Fabrizio Biferali, curatore del reparto per l’arte dei secoli XV e XVI dei Musei Vaticani, “è tratta da un vangelo apocrifo, il cosiddetto Pseudo-Matteo. Il piccolo Gesù piega una palma per coglierne i frutti e fa scaturire acqua dalle radici. Barocci rielabora liberamente il racconto, sostituendo la palma con un albero di ciliegie e trasformando il miracolo in una scena di intima dolcezza familiare. La Vergine, colta in un momento di tenero abbandono materno, accoglie il Bambino che tende le braccia verso le ciliegie offerte da San Giuseppe”.
Le ciliegie
Il carattere quotidiano della rappresentazione è dato oltre che dalla gestualità dei personaggi, anche dalla presenza dell’asino sulla destra, mentre sullo sfondo si apre un paesaggio luminoso. Forte il simbolismo. Il recipiente d’acqua accanto alla Vergine allude all’Eucarestia, mentre il rosso delle ciliegie sono una premonizione della passione di Cristo.
Un momento di pausa colloquiale
“Il visitatore si ferma inevitabilmente davanti a questo quadro che crea un momento di pausa colloquiale, familiare. Ciò che si vede è una scena di affetto tra un padre, una madre e un figlio”, prosegue il curatore. Le velature trasparenti e i passaggi tonali donano ai tessuti una morbidezza palpabile, mentre il rosso della veste di Maria dialoga con il blu del manto, simbolo di purezza, e i tocchi di giallo e rosa nei panneggi completano l’equilibrio cromatico.
Il modello di Correggio
La Madonna delle Ciliegie “segna un momento preciso della carriera di Federico Barocci”, osserva ancora Biferali: “Dopo le esperienze a Urbino, Pesaro e Roma, segna la prima maturità dell'artista, in cui è evidente il riferimento alla pittura soprattutto di Correggio. Il modello di questo dipinto è infatti la cosiddetta Madonna della Scodella del pittore emiliano”.
Un grande disegnatore
Meticoloso, talvolta maniacale nella preparazione dei dipinti, Barocci fu un grande disegnatore: il segno grafico è visibile a occhio nudo nel dipinto: “È molto interessante che per quest’opera il pittore abbia realizzato tantissimi disegni preparatori. Se ne conservano quasi trenta, soprattutto agli Uffizi”. Un apparato grafico grazie al quale è possibile mettere in luce le differenze tra la fase progettuale e l’opera finita.
Pittura chiara e brillante
“Barocci è stato uno dei più grandi disegnatori del Cinquecento: utilizzava la sanguigna, il carboncino, i gessetti, anticipando anche dal punto di vista tecnico molti artisti del Seicento e del Settecento. Non solo per la grafica, ma anche per una pittura chiara, brillante, che anticipa addirittura i pastelli di Rosalba Carriera”, afferma il curatore dei Musei Vaticani.
Non un manierista in senso stretto
Precursore, per certi versi, del classicismo dei Carracci, di Guido Reni, Domenichino o Lanfranco, Federico Barocci non è inquadrabile nel Manierismo in senso stretto. “Guarda alla pittura dell'ultimo Raffaello, ma anche di Michelangelo e dei veneti. Allo stesso tempo dopo il soggiorno romano entra in contatto con le antichità, recupera il dato classico e archeologico e lo inserisce nei suoi dipinti”.
Emblema dell’arte della Controriforma
Per tutto il periodo natalizio, “L’Ospite Illustre” delle Gallerie d’Italia a Torino è un emblema dell’arte sacra post-trindentina: capace di rendere accessibile il messaggio dell’arte sacra a tutti i fedeli, indipendentemente dalla loro preparazione culturale: “L'obiettivo di questi dipinti – conferma Fabrizio Biferali – era, per dirla con il cardinale Gabriele Paleotti (protagonista del Concilio di Trento e autore del Discorso intorno alle imagini sacre et profane: ndr), essere libro degli idioti. In quest’espressione non c’era niente di dispregiativo: voleva indicare che anche un pubblico di persone illetterate, analfabete, doveva immediatamente comprendere l’immagine che aveva di fronte. Non c’è più il Manierismo complicato, lambiccato degli anni Quaranta-Cinquanta. Il Concilio di Trento ha stabilito che le iconografie siano chiare per tutti”.
L’immediatezza è anche oggi la cifra e la potenza dell’arte di Barocci. Un pittore che racconta i testi sacri così come sono e che, come pochi, sa rendere l’umana divinità del Verbo fatto carne.
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