Veduta dall'alto del carcere di Rebibbia Veduta dall'alto del carcere di Rebibbia

Il carcere di Rebibbia si racconta con “Il Mondo alla Rovescia”

Tra strade morse dal traffico e dalla frenesia quotidiana una mostra a cielo aperto, organizzata in occasione del Giubileo dei detenuti, invita lo sguardo a fermarsi per cogliere, attraverso il linguaggio delle immagini, frammenti di vita di una comunità “invisibile”: quella che vive nel penitenziario romano

Mara Miceli e Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano

Il Giubileo dei detenuti è anche un’occasione di profonda riflessione oltre i ritmi della quotidianità. Anche la mostra “Il Mondo alla Rovescia”, organizzata a Roma in occasione di questo evento giubilare, esorta a fermarsi, a non lasciarsi travolgere dalla frenesia cittadina. In questo tempo, ormai prossimo al Natale, il quartiere attorno al carcere di Rebibbia si tramuta in un paesaggio narrativo, in un'oasi urbana.

Il mondo alla rovescia

C’è un punto della Tiburtina in cui la città di Roma corre più che altrove. È un luogo di confine, alienato e alienante, davanti alla Metro B Rebibbia: tra marciapiede e un giardino spoglio, tra sottopassi e cartelloni, in uno spazio dove quasi nessuno indugia. Proprio lì, dove gli sguardi sono sfuggenti e il tempo non si ferma, Hyperlocal - piattaforma editoriale che si focalizza su quartieri e scene culturali - ha allestito una intensa narrazione: la mostra intitolata “Il Mondo alla Rovescia”. Si tratta di un percorso composto da 120 manifesti (un metro per settanta), installati su 20 tabelle metalliche. Una soglia tra dentro e fuori che intercetta la corsa della città e la interrompe, chiedendo tempo, attenzione, umanità.

Lo sguardo tra gli invisibili

Su visione, origini e senso profondo del progetto si sofferma Nicola Gerundino, redattore di Zero Roma e parte integrante della squadra di Hyperlocal. Questo progetto, spiega, parte sempre “dall’analisi delle città e dei loro luoghi simbolici: quartieri, comunità e spazi che racchiudono identità e memorie spesso sommerse”. In questa mappa umana, “il carcere è un nodo decisivo”. Il penitenziario - sottolinea Gerundino - è “un luogo pieno di storie che raramente arrivano all’esterno”. L’occasione per lavorare sulla realtà di Rebibbia nasce da un avviso pubblico del Comune di Roma. Sono seguiti poi mesi di attività tra ricerca e incontri con un gruppo di detenuti. Hyperlocal, aggiunge Gerundino, “è un magazine in affissione: le pagine diventano manifesti”. Portare il lavoro direttamente nel quartiere che ospita il penitenziario “è stato un passaggio essenziale”. L’obiettivo è quello di far emergere “comunità, relazioni e persone”. Nel caso di Rebibbia, ciò che appare è una comunità carceraria “spesso invisibile agli occhi del pubblico”.

Ingresso del carcere di Rebibbia.
Ingresso del carcere di Rebibbia.   (Archivio Lenci)

Il valore del luogo

La scelta dello slargo davanti alla Metro B non è affatto casuale. “Il senso del progetto - spiega Gerundino - è quello di permettere alla comunità raccontata di rileggersi e riconoscersi nelle parole. Quel luogo è lo stesso da cui emergono le storie e nel quale queste vite si muovono”. La Tiburtina, con il suo flusso rapido e disattento, è “un punto di passaggio che rivela anche l’assenza di un vero spazio condiviso”. Proprio per questo, “la mostra trova lì la sua ragione: isolare un varco di attenzione in un luogo che non trattiene lo sguardo”. Al percorso espositivo all’esterno del penitenziario si affianca inoltre l’apertura parallela della mostra all’interno del carcere, nell’area dei colloqui familiari: “è fondamentale che le storie siano ritrovate dove sono nate e che le persone che le hanno donate possano riconoscersi”.

Restituire identità

Il fattore umano è più forte di qualsiasi stereotipo. “La narrazione - spiega Gerundino - ha un ruolo determinante nel superare l’etichetta di ex detenuto”. Quanti fanno parte di questa comunità di “invisibili” devono “essere raccontati prima di tutto come persone”. Ed è importante “mostrare l’umanità che vive all’interno del penitenziario, una realtà spesso sconosciuta e facilmente ridotta a un’etichetta”. In molti casi, poi, superare le sbarre di una cella non significa tornare ad essere veramente liberi. “La perdita di individualità non si esaurisce tra le mura: spesso accompagna chi esce, segnandone il rientro nella società”. L’obiettivo è dunque quello di mostrare come “l’identità sopravviva - dentro e fuori - e resti irriducibile”.

Storie potenzialmente nostre

Parlando dell’esperienza condivisa con i 17 detenuti coinvolti, Gerundino spiega infine che è stata “intensa, formativa e travolgente”. Ci siamo trovati a scoprire “una realtà che colpisce profondamente quando si rivela”. L’aspetto che lo ha colpito maggiormente è stato “la generosità dei detenuti nel condividere le loro storie”. Il clima informale ha favorito, in particolare, “l’emergere di testimonianze autentiche, spesso anche dolorose”. A colpirlo, soprattutto, è l’elemento della casualità: la consapevolezza - come ha ricordato più volte durante il Pontificato anche Papa Francesco - che la vita può “condurre chiunque dentro un penitenziario”. “Molte storie appaiono comuni, vicine, potenzialmente nostre. Questa possibilità – afferma Gerundino - è ciò che mi ha segnato di più”.

Shakespeare tra le strade di Rebibbia

Una frase accompagna la mostra: “a me pare che Shakespeare abbia vissuto tra le strade della mia città”. È un monito ed anche una rivelazione: “riconoscere Shakespeare nelle strade di Rebibbia significa comprendere che la tragedia non è distante: è parte del presente, e può irrompere in ogni vita”. La citazione proviene dal film “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, nato dal lavoro teatrale di Fabio Cavalli con i detenuti. L’impatto di quell’opera, premiata al Festival di Berlino, continua ad essere rilevante. “Il dramma quotidiano del detenuto è materia teatrale: la vita stessa può essere messa in scena”. Shakespeare non è una figura lontana ma un “compagno di strada nelle pieghe del destino”.

Un mondo capovolto

La mostra “Il Mondo alla Rovescia” sarà visitabile fino al 18 dicembre. Qui, tra le affissioni, le storie tornano visibili e chiedono di essere ascoltate. Basta un attimo per accorgersi che, a volte, anche un mondo capovolto può restituirci l’essenza, la verità di una persona.

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14 dicembre 2025, 10:00