L’arte facilita il dialogo: echi positivi dalla Biennale Arti Islamiche
Fabio Colagrande – Jeddah (Arabia Saudita)
Cinque padiglioni, giardini esterni, cinquecento pezzi, più di trenta istituzioni di venti paesi e venti artisti contemporanei per centodiecimila metri quadrati di esposizione. I numeri della seconda Biennale delle Arti Islamiche di Jeddah, inaugurata il 24 gennaio e aperta fino al 25 maggio, presso il terminal Hajj dell’aeroporto della seconda città saudita, con l’obbiettivo di un milione di visitatori, dicono di un evento grandioso che ha voluto intrecciare passato e presente, la storia e la contemporaneità della cultura islamica, in un momento di trasformazione per la penisola arabica.
Non solo Arabia
“Abbiamo voluto mostrare la profondità e la varietà della cultura e delle arti islamiche, sia storicamente che geograficamente”, spiega a Vatican News Abdul Rahman Azzam, autore e storico, uno dei direttori artistici della Biennale. “Abbiamo esempi di arte islamica dal Mali fino all'Indonesia. Vogliamo dimostrare che questa civiltà islamica non è solo una civiltà araba, ma una civiltà che attraversa molti continenti”.
“In questo terminal aeroportuale, porta d’ingresso per centinaia di migliaia di pellegrini verso i Luoghi Santi, siamo vicini a Jeddah e alla Mecca. Siamo a 93 chilometri di distanza dal luogo di nascita dell'Islam e siamo accanto a una città che per migliaia di anni è stata probabilmente la più internazionale del mondo”, aggiunge Julian Raby, anche lui direttore artistico della Biennale e professore onorario di arte e architettura islamica a Oxford. “Questo è il luogo in cui tutti i musulmani, dal Marocco alla Cina, si recavano e si recano per l'Hajj. E questo cosa significa? Crea una dinamica. Ha creato la necessità, per noi ideatori della Biennale 2025, di rispondere all'essenza dell'Islam e di pensare all'Islam che risuona in tutto il mondo”.
La Biennale esplora il rapporto tra fede e arte, sia mostrando oggetti sacri autentici, come la Kiswah della Sacra Kaaba - per la prima volta visibile ai non musulmani - sia reinterpretando il rapporto con il trascendente attraverso istallazioni e creazioni di artisti contemporanei, come il pachistano Imran Qureshi o l’italiano Arcangelo Sassolino. “Abbiamo cercato di parlare del sacro nell'Islam, in termini di oggetti sacri – spiega ancora il prof. Raby - e abbiamo portato per la prima volta in mostra alcuni degli oggetti più sacri dalla Mecca e da Medina, dalle due città sante”. “ È stato un modo per riflettere su cosa sia la cosa più sacra per i musulmani e su cosa la renda sacra in primo luogo”, continua lo storico. “Non per cercare di descrivere ciò che non possiamo descrivere o di parlare di ciò di cui non possiamo parlare, ma per far sì che gli artisti contemporanei ci provochino a pensare. Quindi questa Biennale, combinando oggetti storici e contemporanei, offre una dinamica eccezionalmente interessante. Riunendo 34 istituzioni internazionali, direi dal Mali a Bali, abbiamo creato dei nessi e degli incontri straordinari”.
Una nuova generazione
“C'è una nuova generazione di artisti musulmani che questa Biennale può mostrare al mondo”, sottolinea inoltre Abdul Rahman Azzam. Fin dalla sua prima edizione del 2023 la manifestazione organizzata dalla Diriyah Biennale Foundation ha voluto anche aprire al contemporaneo. “Questo è dovuto al fatto che si tratta di una Biennale, ma anche perché riteniamo che se si parla di arte e cultura islamica, non dobbiamo ridurla a un museo di oggetti storici, ma mostrare che ci sono giovani artisti islamici musulmani, uomini e donne, giovani e anziani, che si ispirano ancora ai principi per continuare a essere creativi”.
Nel padiglione "AlMadar", dedicato al linguaggio dei numeri, si mostrano anche le sinergie culturali di cui sono stati protagonisti il pensiero religioso, matematico, astronomico dell’Islam. “La Biblioteca Apostolica Vaticana è stata un partner molto importante in questo senso - spiega ancora Abdul Rahman Azzam - per esaminare lo scambio di idee avvenuto con le traduzioni del Corano in greco, ebraico e latino, o il dialogo che si è svolto tra scienziati come Copernico e Nostradamus”. “Tutto ciò dimostra - continua lo studioso - come queste idee siano universali, perché la ricerca della verità, la ricerca della conoscenza e la ricerca della bellezza non appartengono a una sola religione, a una sola cultura, a una sola civiltà, in un solo momento”.
“Uno dei manoscritti giunti dal Vaticano - aggiunge il prof. Raby - è un testo che parla del concetto dello ‘zero’ per la prima volta in un contesto europeo, ed è di Fibonacci, cioè uno dei grandi matematici del Medioevo”. “In questo caso abbiamo qualcosa che viene dall'India, dall'induismo, attraverso il mondo musulmano, fino all'Europa. Quindi un'esplorazione in pochi manoscritti di una delle più grandi prove del pensiero umano”. “Presentare il pensiero dell’Islam come catalizzatore di idee, come trasmettitore di idee, è stato un elemento fondamentale di questa Biennale”, conclude lo storico.
Julian Raby commenta anche la collaborazione tra la Biennale saudita e la Biblioteca del Papa. “Naturalmente c'è un enorme simbolismo in questo, ma anche un grande livello accademico. Pensiamo al fatto che qui abbiamo in esposizione una traduzione in lingua greca del Corano, creata entro un secolo dalla sua stesura, e una traduzione ebraica del Corano e una delle prime traduzioni occidentali, voglio dire: solo il Vaticano poteva fare questo”.
“Quando abbiamo avuto un incontro a Riyadh nel febbraio dello scorso anno, che ha riunito i partecipanti alla sezione AlMadar, mi sono guardato intorno nella stanza e c'erano tutte persone che parlavano: colleghi del Mali, i bibliotecari di Timbuktu, c'erano colleghi dell'Indonesia e c'erano colleghi del Vaticano, tutti seduti insieme. Insomma, è stato meraviglioso”, commenta il prof. Raby.
“Devo dire che fin dal nostro primo incontro con la Biblioteca Apostolica Vaticana, che credo sia stata nel settembre-ottobre 2023, è stato solo un piacere, ogni passo è stato di rispetto, di tolleranza, di comprensione, di intelligenza” aggiunge l’altro direttore artistico della Biennale, Abdul Rahman Azzam. “Speriamo davvero che la Biennale d'Arte Islamica del 2025, sia il primo di molti passi di collaborazione tra la Biblioteca Apostolica Vaticana e questa Biennale”.
A spiegare i retroscena e le implicazioni di questa collaborazione è proprio l’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, giunto a Jeddah per l’inaugurazione della Biennale con due studiosi orientalisti della BAV, il prof. Delio Proverbio e il domenicano p. Adrien Fouchier. “Il Principe saudita con i suoi ministri ha voluto che noi fossimo presenti alla Biennale, ha insistito perché ci fosse questa presenza”, racconta mons. Zani. “Sono venuti a Roma, ci hanno incontrato e spiegato qual era il senso di questo invito. Loro guardano molto all'Occidente, però sono anche preoccupati di questo Occidente sempre più secolarizzato".
"Stanno mandando i giovani a studiare nelle grandi università dell'Occidente - prosegue il presule - però vedono che quando i giovani tornano in questo paese non si ritrovano più. Quindi sentono che devono aprire un ponte consistente e solido con la cultura occidentale ma vogliono scegliere, nella cultura dell'Occidente, quei soggetti che garantiscono i fondamenti antropologici e spirituali con i quali loro possano dialogare”. "In questa prospettiva - aggiunge Zani - abbiamo esposto qui 11 pezzi straordinari e loro sono orgogliosissimi di questa presenza e ci stanno accompagnando, insistendo, invitando ad andare avanti a sviluppare questo dialogo”.
L’arcivescovo Zani spiega anche il valore di questa collaborazione tra Santa Sede e Arabia Saudita, due realtà che non intrattengono attualmente rapporti diplomatici. “La nostra partecipazione qui a Jeddah è stata benedetta anche dalla Segreteria di Stato perché la presenza nostra è un po' come un'apripista della diplomazia della cultura. Il campo della cultura è un campo che si apre a tutti i dialoghi e a tutte le dimensioni, ed è questo che abbiamo vissuto in Arabia Saudita”.
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