Padre Pasolini: mettersi in cammino per conoscere Dio, la Chiesa favorisca l'incontro

“L’universalità della salvezza. Una speranza senza condizioni”: è il tema della terza meditazione d’Avvento di questa mattina, 19 dicembre, in Aula Paolo VI alla presenza del Papa. Il predicatore della Casa Pontificia si sofferma sull’atteggiamento dei Magi che osano con coraggio, aprendosi all’ignoto. Occorre rivedere le "nostre abitudini missionarie" e "aiutare l'altro a riconoscere la luce che già lo abita", "custodire Cristo per offrirlo a tutti", "la luce vera del Natale illumina ogni uomo"

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Riconoscere la venuta di Gesù Cristo “come una luce da accogliere, dilatare e offrire al mondo”: questa è la “sfida” che il Natale e il Giubileo invitano ad intraprendere. Il predicatore della Casa Pontificia, padre Roberto Pasolini, lo ha sottolineato all’inizio della sua terza meditazione d’Avvento, sul tema “L’universalità della salvezza”, tenuta questa mattina, 19 dicembre, nell’Aula Paolo VI di fronte a Leone XIV e alla Curia romana.

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La luce che smaschera

Il frate minore cappuccino ha proposto una riflessione sulla manifestazione universale della salvezza, su Cristo “luce vera”, che è “capace di illuminare, chiarire e orientare l’intera complessità dell’esperienza umana”, che “non cancella le domande, i desideri e le ricerche dell’uomo, ma li mette in relazione, li purifica e li conduce verso un senso più pieno”. Luce che il mondo non ha abbracciato perché “gli uomini hanno amato più le tenebre”. Il problema, ha spiegato padre Pasolini, è “la nostra disponibilità” ad accogliere la luce, che “è necessaria e bella, ma anche esigente: smaschera le finzioni, mette a nudo le contraddizioni, costringe a riconoscere ciò che preferiremmo non vedere” e per tale motivo “la evitiamo”.

Eppure, ha fatto notare il religioso, “Gesù non contrappone chi fa il male a chi fa il bene, ma chi fa il male a chi fa la verità”, e questo vuol dire che “per accogliere la luce dell’Incarnazione” non occorre “essere già buoni o perfetti, ma iniziare a fare verità nella propria vita”, ossia “smettere di nascondersi e accettare di essere visti per ciò che si è”, perché “a Dio interessa più la nostra verità che una bontà di facciata”.

La Chiesa, una comunità che vive la luce di Cristo

Per la Chiesa questo significa “avviare un cammino di maggiore verità”, che vuol dire non “esibire una purezza morale o rivendicare una coerenza impeccabile”, ma “presentarsi con sincerità, e riconoscere “resistenze” e “fragilità”. Perché il mondo non si aspetta “un’istituzione senza crepe, né l’ennesimo discorso che indica ciò che dovrebbe essere fatto”, ha detto padre Pasolini, ma “ha bisogno di incontrare una comunità che, pur nelle sue imperfezioni e contraddizioni, vive davvero alla luce di Cristo e non ha paura di mostrarsi per quello che è”. I Magi ad esempio, hanno mostrato un modo singolare di essere veri “percorrendo la via del Signore”, ha spiegato il religioso, si sono messi in cammino da lontano mostrando “che per accogliere la luce del Natale è necessaria una certa distanza”, per “vedere meglio le cose: con uno sguardo più libero, più profondo, più capace di sorpresa”. Invece, l’abitudine di “guardare la realtà troppo da vicino” rende “prigionieri di giudizi scontati e di interpretazioni troppo consolidate”, e questo accade anche a “chi vive stabilmente al centro della vita ecclesiale e ne porta le responsabilità”, ha osservato il predicatore della Casa pontificia, perché “la familiarità quotidiana con ruoli, strutture, decisioni e urgenze può, col tempo, restringere lo sguardo” e così c’è il rischio di non riuscire a riconoscere “i segni nuovi attraverso cui Dio si fa presente nella vita del mondo”.

Padre Roberto Pasolini
Padre Roberto Pasolini   (@VATICAN MEDIA)

Le vie inattese di Dio

Se nel giorno di Natale si celebra che “la luce è entrata nel mondo”, nell’Epifania emerge che “questa luce non si impone, ma si lascia riconoscere”, “si manifesta dentro una storia ancora segnata dall’oscurità e dalla ricerca” ed è “una presenza che si offre a chi è disposto a muoversi”. “Non tutti la vedono allo stesso modo” e “la riconoscono nello stesso tempo”, perché “la luce di Cristo si lascia incontrare da chi accetta di uscire da sé, di mettersi in cammino, di cercare”, ha evidenziato il frate cappuccino, aggiungendo che è così “anche per il cammino della Chiesa”, poiché “non tutto ciò che è vero appare subito chiaro, né ciò che è evangelico risulta immediatamente efficace”. E alcune volte “la verità chiede di essere seguita prima ancora di essere pienamente compresa”.

Padre Pasolini ha menzionato, a tal proposito l’esperienza dei Magi, che non avanzavano “sostenuti da certezze consolidate, ma da una stella fragile, sufficiente però a metterli in viaggio”. I saggi giunti a Betlemme dall’Oriente, in pratica, insegnano che “per incontrare il volto del Dio fatto uomo è necessario mettersi in cammino”, e questo, rimarca il predicatore della Casa pontificia, “vale per ogni credente” e soprattutto per chi ha “la responsabilità di custodire, guidare e discernere”. “Senza un desiderio che resta vivo, anche le forme più alte del servizio rischiano di diventare ripetitive, autoreferenziali, incapaci di sorpresa”. La stella che guida i Magi, per padre Pasolini, è poi, anche “il segno dei richiami discreti con cui Dio continua a farsi presente nella storia”, e così, quegli uomini sapienti che “non conoscono le Scritture di Israele” ma leggono il cielo, ricordano “che Dio parla anche attraverso vie inattese, esperienze periferiche, interrogativi che nascono dal contatto con la realtà e attendono di essere ascoltati”.

L’immobilismo

Ma un altro rilevante aspetto che emerge dalla storia dei Magi è l’atteggiamento di ricerca: non curarlo, “non mettersi in movimento” può indurre a “sistemarsi in una posizione che appare rassicurante, fatta di certezze e di abitudini consolidate, ma che col tempo rischia di diventare una forma di immobilità interiore”, che “lentamente isola, spesso senza che ce ne accorgiamo”. È quello che accade a Erode, “si mostra attento: interroga, calcola, pianifica” ma non si mette in cammino verso Betlemme, non accetta “il rischio e la sorpresa di ciò che potrebbe accadere” e delega ai Magi il compito di andare, riservandosi il diritto di essere informati sugli sviluppi. “È l’atteggiamento di chi vuole sapere tutto senza esporsi, restando al riparo dalle conseguenze di un coinvolgimento reale”, ha affermato il frate francescano mettendo in guardia dall’“abbondanza di sapere” che non ha “un coinvolgimento reale. Sappiamo tante cose, ma restiamo distanti. Osserviamo la realtà senza lasciarci toccare, protetti da una posizione che ci mette al riparo dall’imprevisto”. Succede allora che nella Chiesa si può “conoscere bene la dottrina, custodire la tradizione, celebrare con cura la liturgia e, nondimeno, restare fermi”. “Come accade agli scribi di Gerusalemme, anche noi possiamo sapere dove il Signore continua a farsi presente – nelle periferie, tra i poveri, nelle ferite della storia – senza trovare la forza o il coraggio di muoverci in quella direzione”, ha messo in guardia il predicatore della Casa pontificia.

Il coraggio di alzarsi

In sintesi, per incontrare Dio “il primo passo è sempre quello di alzarsi: uscire dai propri rifugi interiori, dalle proprie sicurezze, dalla visione consolidata delle cose”, ha insistito padre Pasolini, specificando che “alzarsi richiede coraggio. Significa abbandonare la sedentarietà che ci protegge ma ci immobilizza, accettare la fatica del cammino, esporsi all’incertezza di ciò che non è ancora chiaro”. Come hanno fatto i Magi che hanno lasciato la loro terra e attraversato “distanze senza garanzie, guidati solo da un segno tenue e discreto”, senza sapere cosa avrebbero trovato ma fidandosi della luce che li precedeva. Questo vuol dire sperare.

Dei Magi padre Pasolini ha rilevato anche l’umile abbassamento. Giunti a Betlemme adorano il Bambino, si sono messi in cammino, hanno cercato e si sono aperti al mistero: “Alzarsi e poi inginocchiarsi: è questo il movimento della fede. Ci si alza per uscire da sé, non per mettersi al centro. E poi ci si abbassa, perché ci si accorge che ciò che incontriamo sfugge al nostro controllo”. Per il predicatore della Casa pontificia “questo vale nel rapporto con Dio, nelle relazioni di ogni giorno” - quando “l’altro ci sorprende, delude o cambia” e occorre smettere di imporre il proprio punto di vista e “imparare ad ascoltare davvero” - e, ampliando la prospettiva, pure per la Chiesa, che “è chiamata a muoversi, uscire, andare incontro alle persone e alle situazioni che le sono lontane”, e “anche a sapersi fermare, abbassare lo sguardo, riconoscere che non tutto le appartiene né può essere controllato”. Allora “il dono della salvezza può diventare universale” se “la Chiesa accetta di lasciare le proprie sicurezze” e guarda “con rispetto la vita degli altri, riconoscendo che anche lì, spesso in modi inattesi, può emergere qualcosa della luce di Cristo”.

Il Papa in ascolto della mediazione d'Avvento di padre Roberto Pasolini
Il Papa in ascolto della mediazione d'Avvento di padre Roberto Pasolini   (@VATICAN MEDIA)

La luce vera del Natale

Un ultimo aspetto sul quale il predicatore della Casa pontificia invita a riflettere e che “se Dio ha scelto di abitare la nostra carne, allora ogni vita umana porta in sé una luce, una vocazione, un valore che non può essere cancellato” e questo deve portare a concludere che “non siamo venuti al mondo soltanto per sopravvivere o per attraversare il tempo nel modo migliore possibile”, ma “per accedere a una vita più grande: quella dei figli di Dio”. E allora compito della Chiesa è “porgere al mondo la luce di Cristo. Non come qualcosa da imporre o da difendere, ma come una presenza da offrire”, lasciando che chiunque possa avvicinarsi. Perciò “in questa prospettiva, la missione non consiste nel forzare l’incontro, ma nel renderlo possibile”, conclude padre Pasolini. “Una Chiesa che offre a tutti la presenza di Cristo non si appropria della sua luce, ma la riflette. Non si pone al centro per dominare, ma per attrarre”, perciò “diventa spazio di incontro, dove ciascuno può riconoscere Cristo e, davanti a lui, ritrovare il senso della propria vita”. Deve allora cambiare la prospettiva delle “abitudini missionarie”: spesso si pensa “che evangelizzare significhi portare qualcosa che manca, colmare un vuoto, correggere un errore”, ma “l’Epifania indica un’altra via” che è quella di “aiutare l’altro a riconoscere la luce che già lo abita, la dignità che già possiede, i doni che già custodisce”. Perciò la cattolicità della Chiesa consiste nel “custodire Cristo per offrirlo a tutti, con la fiducia che in ogni persona siano già presenti bellezza, bontà e verità, chiamate a compiersi e a trovare in lui il loro senso più pieno”. In conclusione, allora, per il predicatore della Casa pontificia “la luce vera del Natale ‘illumina ogni uomo’ proprio perché è in grado di svelare a ciascuno la propria verità, la propria chiamata, la propria somiglianza con Dio”.

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19 dicembre 2025, 09:35