Kaiciid, a Roma il vertice per una “diplomazia della speranza”
Stefano Leszczynski – Città del Vaticano
In un contesto globale segnato da crescenti tensioni geopolitiche, instabilità e polarizzazione, la religione mostra una natura politicamente ambivalente. Da un lato, numerosi conflitti e nuove tensioni vengono presentati come religiosamente motivati; dall’altro, si assiste allo sviluppo di una nuova stagione di solidarietà interreligiosa, tanto a livello locale quanto internazionale. È proprio partendo da questa complessità che si è svolto il convegno internazionale “Religion and Diplomacy”, presso il Centro Congressi dell’Augustinianum, a Roma.
Promuovere una cultura del rispetto
“Quello che manca nell’attuale contesto internazionale, e da più parti, è una vera cultura di rispetto verso l'altro. È dunque, essenziale che i leader religiosi si mostrino uniti e promuovano sempre più il dialogo con ai leader politici. Perché bisogna evitare che la situazione internazionale peggiori fino al punto di non ritorno. E bisogna agire in fretta”. Il segretario generale di Kaiciid, Antonio de Almeida-Ribeiro, è un diplomatico portoghese di lungo corso e già ambasciatore presso la Santa Sede nel 2013. Nell'illustrare gli obiettivi del convegno Ameida-Ribeiro precisa che se il dialogo deve essere promosso dai leader religiosi e politici, non può però realizzarsi senza il contributo della società civile: “Siamo convinti che i leader religiosi con la loro influenza nelle proprie comunità abbiano un'importanza cruciale nell’inculcare il rispetto per l’altro e il desiderio di pace”.
Spiritualità e diplomazia
L’obiettivo principale del convegno è stato quello di esplorare il punto di incontro tra religione, diplomazia e dialogo, analizzandone l’interazione dinamica nel rispondere alle sfide globali contemporanee e nel costruire percorsi verso un mondo più pacifico e armonioso. Negli ultimi anni, responsabili politici e decisori internazionali hanno sempre più riconosciuto che le complesse sfide sociali, politiche, economiche e culturali del nostro tempo possono trarre beneficio dalla profondità di pensiero, dalle intuizioni e dalla saggezza presenti nelle tradizioni religiose e di fede. In questo senso, il ruolo dei leader religiosi emerge non solo come spirituale, ma anche come diplomatico.
L’unità che spaventa la politica
La vera sfida per gli uomini di fede è rappresentata dalla necessità di trovare un terreno comune di dialogo con il mondo dei decisori politici. “Non possiamo semplicemente pensare di coesistere in mondi paralleli. È dunque attraverso il popolo, inteso come comunità di cittadini e comunità di fede, che si possono trovare strade percorribili dai governi e dai leader delle religioni”. Il rabbino capo di Basilea, Elimelech Vanzetta, rappresentante della Conferenza europea dei rabbini, non fatica ad ammettere che il dialogo interreligioso può essere visto con timore dai governi. “Come gruppi religiosi in dialogo vediamo costantemente che i punti che abbiamo in comune sono molti di più di quelli che ci dividono. E questo porta verso un’unità che può spaventare gli attori politici, perché dove c’è unità non c’è spazio per conquiste o strumentalizzazioni”.
Abbattere gli stereotipi
Nonostante i leader religiosi abbiano ribadito come un’aberrazione l’uso della violenza in nome di Dio e il profondo desiderio di pace che deve regnare in tutti gli uomini e le donne di fede, il tentativo di strumentalizzare le religioni per sviare l’attenzione dalle vere ragioni di crisi internazionali o tensioni locali e sempre presente. Per quanto riguarda l’Occidente e in particolare l’Europa, l’Imam Yahya Pallavicini, presidente del Consiglio europeo dei leader musulmani, indica che “rabbini e imam, in quanto rappresentanti delle minoranze musulmane e ebree devono cercare di interpretare insieme un ruolo di mediazione e di fratellanza”. Una fratellanza umana, spiega ancora, che deve essere poi declinata in una diplomazia interreligiosa, “il che vuol dire saper mediare nel pacificare i cuori e costruire dei percorsi di pace che possano partire da una comprensione reciproca e da un rispetto reciproco”.
Per una diplomazia della speranza
Un richiamo diretto alla visione di Papa Francesco, che in più occasioni ha invocato una vera e propria “diplomazia della speranza”: una diplomazia che non si fonda sul calcolo strategico o sugli interessi di breve periodo, ma sul coraggio morale di cercare la pace dove altri vedono solo conflitto e di costruire ponti dove altri innalzano muri. Una prospettiva – ribadiscono gli organizzatori del Convegno all’Augustinianum - che interpella sia i leader religiosi sia quelli politici, chiamandoli a rifiutare l’indifferenza e la contrapposizione per diventare artigiani di riconciliazione, giustizia e cura dei più vulnerabili.
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