I Quartetti per archi di Eliott Carter (seconda parte)
New Music - di Marco Di Battista
Oggi ascoltiamo la seconda parte del nostro viaggio nell'universo dei quartetti per archi di Elliott Carter. Iniziamo con il Terzo Quartetto (1971), altra opera vincitrice del Premio Pulitzer, che presenta una delle idee più estreme di Carter: la divisione dell'ensemble in due duetti contrapposti. Un duo (violino e violoncello) suona una musica in stile rubato ed espressivo, mentre l'altro (violino e viola) procede con un ritmo rigoroso e meccanico. Questi due mondi sonori coesistono, si scontrano e si combinano in un tour de force di complessità polifonica che mette alla prova i limiti della percezione uditiva. Proseguiremo con il Quarto Quartetto (1986), dove Carter, pur mantenendo l'idea di un'accesa disputa tra gli strumenti, li guida verso una sorta di riconciliazione in un finale rapsodico e accelerato. Ogni strumento è ancora caratterizzato da intervalli e velocità proprie, creando complesse strutture poliritmiche, ma l'opera si muove verso una maggiore coesione melodica. Concludiamo con il Quinto Quartetto (1995), una riflessione affascinante sul processo creativo stesso. L'opera è strutturata in dodici brevi movimenti, alternando sezioni di "prove" (gli interludi), dove i musicisti sembrano esplorare frammenti di idee, a movimenti più compiuti dove queste idee vengono eseguite. È il quartetto più frammentato e introspettivo, un'opera che ci invita a sbirciare nel laboratorio del compositore, mettendo a nudo il dialogo tra pensiero ed esecuzione