Il Papa nell’ospedale psichiatrico di Beirut: "Voi malati siete nel cuore di Dio"
Salvatore Cernuzio – Inviato a Beirut
“A ciascuno di voi oggi il Signore ripete: ti amo, ti voglio bene, sei mio figlio! Non dimenticatelo mai! Shukrán! Allah ma’akum (Grazie! Dio sia con voi)”.
Sorrisi sghembi e sguardi spenti dalla malattia e dalle difficoltà della vita quelli che accolgono questa mattina Papa Leone XIV nell’Ospedale de la Croix, uno dei più grandi ospedali per disabili mentali del Medio Oriente, prima tappa dell’ultimo giorno del viaggio apostolico in Libano. Ottocento malati sono seduti nel teatro della struttura, fondata nel 1919 dal beato cappuccino padre Yaaqoub, trasformata in manicomio nel 1937 e in nosocomio per disabili mentali nel 1951. Uomini, donne, anziani, giovani, alcuni affetti da tossicodipendenza (a loro è riservato uno dei cinque padiglioni) accolgono il Papa con le loro sciarpette bianche con impresso lo stemma papale e il volto di padre Yaaqoub, le bandierine libanesi e vaticane. Restano immobili e ogni tanto applaudono motivati dalle suore Francescane della Croce che quotidianamente si prendono cura di loro, insieme a un personale di infermieri e volontari. Come Jean, militare in pensione, che racconta: “Facciamo il possibile per loro”.
L'attesa per l'arrivo del Papa
Nel complesso situato sul Mount-Lebanon, da dove la vista della baia di Beirut toglie il respiro, ci sono una farmacia centrale, un dispensario, ambulatori, un teatro e una sala cinematografica e teatrale, cucine e lavanderia. Sono riunite là almeno un migliaio di persone, considerando i chilometri e chilometri di persone assiepate da dietro le transenne sin dalla strada centrale. Ancora bandiere in questa terz’ultima tappa del Papa in Libano, ancora striscioni (uno con il volto di Robert Francis Prevost giovane agostiniano), ancora fiori e immaginette. In mezzo poi un gruppo i bambini della vicina scuola di St. Jacques che hanno allestito un piccolo Conclave, con guardie svizzere, cardinali e anche un piccolo Papa, Elysha, con tanto di anello piscatorio e scarpe bianche. Le suore li hanno preparati spiegando il significato di quegli abiti e prima dell’arrivo di Leone gli fanno ripetere cori, canti e saluti. Uno pure in italiano: “Cccciao Papa Leone!”.
Il Pontefice arriva all’ingresso principale della residenza della Congregazione in auto. Le suore gli corrono incontro e una pure gli si stringe al collo. La madre superiora, suor Marie Makhlouf, insieme alla direttrice dell’ospedale, suor Rose Hanna, e la superiora del Convento, suor Hiam El Badawi, accompagnano il Papa nel teatro e anche lì l’accoglienza è festante. Una suora chiede in videochiamata di salutare una familiare e Leone la benedice, in sala risuonano le zaghroutah, le urla – tipiche delle donne mediorientali – segno di felicità e festeggiamento.
La commozione della madre superiora, suor Marie
A prendere la parola, lottando con la commozione che la interrompe più di una volta, la superiora suor Marie ringrazia il Papa per aver scelto di visitare una realtà che accoglie persone “ferite dalla loro solitudine” e “assenti dai media e dai palcoscenici”. Sottolinea come la presenza del Papa confermi che i più poveri e dimenticati “sono un tesoro della Chiesa” e non un peso per la società. Infine definisce la missione dell’ospedale un “miracolo quotidiano” sostenuto dalla Provvidenza e dalla generosità silenziosa dei benefattori. Anche due pazienti portano poi la loro testimonianza a Papa Leone. Una degente descrive la visita come una “luce” che dà coraggio e allevia le sofferenze, auspicando che il mondo possa conoscere la realtà umana e accogliente dell’ospedale e la santità di Abouna Yaacoub. Un altro paziente dice pure lui “grazie” al Papa per questo viaggio vissuto come dono e grazia per il popolo libanese. A nome di tutti i malati, chiede la benedizione per queste persone “che portano ogni giorno la propria croce” e anche per le religiose che li servono.
"Qui abita Gesù"
Leone XIV ascolta e sembra commuoversi. “Sono contento di incontrarvi, era un mio desiderio, perché qui abita Gesù: sia in voi ammalati, sia in voi che ne avete cura, le Suore, i medici e tutti gli operatori sanitari e il personale”, esordisce, in francese. Assicura che tutto il popolo dell’ospedale libanese è nel suo cuore e nelle sue preghiere. Anche il Papa ricorda la santità della vita del fondatore e la sua testimonianza portata avanti dalle Francescane della Croce. Il loro è “un prezioso servizio”, dice: “Grazie, care Sorelle, per la missione che portate avanti con gioia e dedizione!”.
Prezioso è pure il servizio degli operatori: “La vostra presenza competente e premurosa e la cura degli ammalati sono un segno tangibile dell’amore compassionevole di Cristo. Siete come il buon samaritano, che si ferma presso chi è ferito e se ne prende cura per sollevarlo e guarirlo”, dice il Papa. È vero, ammette, “a volte può sopraggiungere la stanchezza o lo scoraggiamento, soprattutto per le condizioni non sempre favorevoli in cui vi trovate a lavorare”. L’incoraggiamento è allora ad andare avanti, nonostante qualche difficoltà, avendo davanti sempre “il bene che avete possibilità di realizzare”.
Non dimenticare i più fragili
“Quanto si vive in questo luogo è un monito per tutti, per la vostra terra ma anche per l’intera umanità: non possiamo dimenticarci dei più fragili, non possiamo immaginare una società che corre a tutta velocità aggrappandosi ai falsi miti del benessere, ignorando tante situazioni di povertà e di fragilità”, conclude Papa Leone. In particolare cristiani, aggiunge, sono chiamati a prendersi cura dei poveri: “Il Vangelo stesso ce lo chiede”.
A conclusione dell’incontro le suore consegnano al Papa 77 Rosari con i nomi dei malati e degli operatori che li hanno realizzati a mano. Suor Marie regala invece una icona fatta a mano di Abouna Yaacoub, nella speranza che venga presto canonizzato.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui
