Giubileo della comunicazione, i Papi e le speranze nell’informazione
Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano
Comunicare è un’azione che riguarda ogni persona fin dagli albori della storia dell’uomo. Significa trasmettere un messaggio, entrare in relazione con l’altro nell’ambito di un contesto, influenzato anche da valori e consuetudini, attraverso il linguaggio e vari strumenti di trasmissione. Tra questi, il libro ha assunto un ruolo primario per molti secoli. L’evoluzione della comunicazione ha poi accompagnato profondi cambiamenti. L'invenzione della stampa, nel XV secolo, ha dato un impulso ancora più rilevante alla circolazione di idee e del sapere. Tra Ottocento e Novecento la comparsa dei mass media ha portato la comunicazione di massa ad un pubblico composto non solo da lettori ma anche da telespettatori, ascoltatori. I giornali, i film, la radio e la televisione hanno avuto un impatto rilevante nel tessuto sociale. Più recentemente, i mezzi telematici connessi con il computer hanno contraddistinto fenomeni attuali come quello della globalizzazione fino all'approdo nell'era dei social e più ancora dell'intelligenza artificiale. A questo mondo è dedicato il primo dei 36 grandi eventi di questo Anno Santo. Si tratta del Giubileo della comunicazione, in programma dal 24 al 26 gennaio, che coinvolge tra gli altri giornalisti, operatori dei media, social media manager, tecnici audio e video, informatici.
Comunicare è una responsabilità
I Pontefici, nel corso della storia, si sono spesso soffermati sul valore della comunicazione e hanno più volte ricordato che sapere ed essere informati è un diritto fondamentale dell’uomo. Diffondere la parola, la notizia, l’immagine, il pensiero, la cultura è innanzitutto una responsabilità: quella di ricercare e promuovere la verità. Papa Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris afferma che ogni essere umano ha diritto ad una informazione oggettiva. Oggi si sono moltiplicate le possibilità di comunicare e di trasmettere notizie. Ma non sempre è cresciuta la capacità di capirsi realmente e il rischio è quello di ripetere l’esperienza biblica della Torre di Babele. Negli ultimi tempi in particolare si è registrata, con l’avvento delle tecnologie digitali, una drastica trasformazione delle forme e dei linguaggi dell’informazione. Il pericolo, indicato anche da Papa Francesco, è quello di vedere la sapienza dell’uomo soffocata dalla velocità e dal carattere spesso dispersivo dell’informazione.
Paolo VI: la Chiesa e le comunicazioni sociali
Nonostante queste ombre, la comunicazione e l’informazione possono illuminare il cammino dell’uomo e il Giubileo della speranza. Nel decreto conciliare Inter mirifica si sottolinea che le nuove possibilità di comunicare, assicurate da “meravigliose invenzioni tecniche”, possono raggiungere e influenzare le masse e l'intera umanità. “Speciali responsabilità morali circa il retto uso degli strumenti di comunicazione sociale - si legge in questo documento - incombono sui giornalisti, gli scrittori, gli attori, i registi, gli editori e i produttori, i programmisti, i distributori, gli esercenti e i venditori, i critici e quanti altri in qualsiasi modo partecipano alla preparazione e trasmissione delle comunicazioni”. Ma che cosa sono esattamente le comunicazioni sociali? Papa Paolo Vi si pone proprio questa domanda al Regina Caeli del 23 maggio 1971:
Che cosa sono le comunicazioni sociali? Sono i mezzi, sono gli strumenti, sono i veicoli, mediante i quali gli uomini si trasmettono fra di loro le notizie, le informazioni, le opinioni, i giudizi, le critiche, le intenzioni, gli insegnamenti, le propagande, i pensieri. È l’insieme del linguaggio delle conversazioni, delle esortazioni, delle polemiche, che gli uomini svolgono fra di loro. È il commercio di parole, di notizie, di idee circolanti nella società, un commercio che si allarga sempre di più e tende a diventare mondiale. La tecnica moderna della stampa, della radio, della televisione rende rapidissima, attraente, impressionante questa diffusione di voci e di immagini della conversazione e della cultura degli uomini fra di loro. Non è forse questo un fatto caratteristico e dominante nella nostra vita quotidiana? Nella nostra civiltà contemporanea? Nessuno lo può negare. Ecco perché anche la Chiesa se ne deve occupare.
Giovanni Paolo I: comunicazione è comunione
La Chiesa se ne deve occupare anche perché gli strumenti della comunicazione possono stabilire una “profonda connessione con i valori umani e le attese della società”. È quanto sottolinea Papa Giovanni Paolo I nel discorso rivolto il primo settembre del 1978 ai rappresentanti della stampa internazionale.
La sacra eredità lasciataci dal Concilio Vaticano II e dai Nostri Predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, di cara e santa memoria, sollecita da Noi la promessa di un'attenzione speciale, di una franca, onesta ed efficace collaborazione con gli strumenti della comunicazione sociale, che voi qui degnamente rappresentate. (...) Non Ci nascondiamo i rischi di massificazione e di livellamento, che tali mezzi portano con sé, con le conseguenti minacce per l'interiorità dell'individuo, per la sua capacità di riflessione personale, per la sua obiettività di giudizio. Ma sappiamo anche quali nuove e felici possibilità essi offrano all'uomo d'oggi, di meglio conoscere ed avvicinare i propri simili, di percepirne più da vicino l'ansia di giustizia, di pace, di fraternità, di instaurare con essi vincoli più profondi di partecipazione, di intesa, di solidarietà in vista di un mondo più giusto ed umano. Conosciamo, in una parola, la mèta ideale verso la quale ognuno di voi, nonostante difficoltà e delusioni, orienta il proprio sforzo, quella cioè di arrivare, attraverso la «comunicazione», ad una più vera ed appagante «comunione».
Giovanni Paolo II: comunicare è rispettare la verità
Per il mondo della comunicazione e del giornalismo, in particolare, si impone una scelta di fondo: “il servizio della comunicazione sociale, destinata ad arricchire il patrimonio conoscitivo e formativo individuale e ad offrire alla comunità un efficace strumento di crescita civile, spirituale e morale”. È in questa precisa cornice che si inserisce il discorso rivolto il 28 febbraio del 1986 da Papa Giovanni Paolo II ad una rappresentanza di giornalisti, definiti “operatori, servitori, artisti della parola”.
Il rispetto della verità richiede un impegno serio, uno sforzo accurato e scrupoloso di ricerca, di verifica, di valutazione. Su questo punto vorrei restringere per un momento lo sguardo all’orizzonte ecclesiale. Il mio predecessore Giovanni Paolo I - il quale, come sapete, aveva avuto una singolare familiarità col giornalismo - proprio in quest’aula, tra le affabili espressioni che rivolse ai rappresentanti dei mezzi di comunicazione sociale, sottolineò la necessità di “entrare nella visuale della Chiesa, quando si parla della Chiesa”. E aggiunse: “Vi chiedo sinceramente, vi prego anzi di voler contribuire anche voi a salvaguardare nella società odierna quella profonda considerazione per le cose di Dio e per il misterioso rapporto tra Dio e ciascuno di noi, che costituisce la dimensione sacra della realtà umana”.
Benedetto XVI: comunicare è testimoniare la propria visione
Il terzo millennio, segnato dalla diffusione di Internet e dalle possibilità offerte dalle nuove vie digitali e dall’intelligenza artificiale, esige non solo la ricerca della verità ma anche una testimonianza autentica, legata in modo coerente con ciò che si comunica. Papa Benedetto XVI incentra su questa necessità il discorso rivolto il 28 febbraio del 2011 ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali:
I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l’altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle «reti partecipative», richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano «testimoni» di ciò che dà senso alla loro esistenza. I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente. Il punto di partenza è la stessa Rivelazione, che ci testimonia come Dio abbia comunicato le sue meraviglie proprio nel linguaggio e nell’esperienza reale degli uomini, «secondo la cultura propria di ogni epoca» fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio Incarnato.
Francesco: comunicare non è contrapposizione ma dialogo
È urgente riflettere sui linguaggi sviluppati alle nuove tecnologie, su quelli connessi alle reti sociali. Gli strumenti possono essere molto efficaci ma ad essere decisivi sono, soprattutto, i contenuti condivisi e i toni usati. Devono prevalere, anche nel campo della comunicazione, non l’odio e la contrapposizione ma le logiche del dialogo e della comprensione. Lo ricorda Papa Francesco nel discorso in occasione del conferimento del Premio “È giornalismo” il 26 agosto del 2023.
La cultura digitale ci ha portato tante nuove possibilità di scambio, ma rischia anche di trasformare la comunicazione in slogan. No, la comunicazione è sempre andata e ritorno. Io dico, ascolto e rispondo, ma sempre dialogo. Non è uno slogan. Mi preoccupano ad esempio le manipolazioni di chi propaga interessatamente fake news per orientare l’opinione pubblica. Per favore, non cediamo alla logica della contrapposizione, non lasciamoci condizionare dai linguaggi di odio. Nel drammatico frangente che l’Europa sta vivendo, con il protrarsi della guerra in Ucraina, siamo chiamati a un sussulto di responsabilità. La mia speranza è che si dia spazio alle voci di pace, a chi si impegna per porre fine a questo come a tanti altri conflitti, a chi non si arrende alla logica “cainista” della guerra ma continua a credere, nonostante tutto, alla logica della pace, alla logica del dialogo, alla logica della diplomazia.
Promuovere dunque una comunicazione responsabile, in cui la ricerca del dialogo e della verità conferiscano la giusta dignità ai popoli, alle persone. Sono queste alcune delle speranze che i Papi, in diversi frangenti della storia, hanno espresso per avvicinare le responsabilità del mondo della comunicazione e dell’informazione alle più profonde attese dell’uomo.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui