Scorsese e Spadaro: dialogo sul Vangelo secondo Pasolini
Silvia Guidi - Città del Vaticano
Un bambino costretto dall’asma a guardare dal balcone i regolamenti di conti che si svolgevano in strada, in un mondo a tinte forti, fatto di gangster e di sacerdoti coraggiosi, dove la grazia fioriva "nel territorio del diavolo" (Flannery O’ Connor). Un bambino che sogna di diventare prete, da grande. O forse regista. "È stato padre Francis Principe ad aprirci la mente, facendoci leggere i libri di Graham Greene. Ci provocava a pensare in un modo diverso. Sono cresciuto in un ambiente molto duro, nei bassifondi di New York, dove la violenza era molto reale. Avevo intorno l’amore della mia famiglia, ma dove vivevo la violenza era comunque qualcosa con cui fare i conti" racconta Martin Scorsese parlando della sua infanzia, e del fascino che il mistero della Messa esercitava su di lui (“possibile che nel mondo, fuori, poi tutto continuasse come prima?”) durante l’incontro Il Sacro Immediato. Il Vangelo secondo Pasolini che si è svolto venerdì 5 dicembre all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone di Roma. Un dialogo — introdotto dall’assessore alla cultura di Roma Capitale, Massimiliano Smeriglio — tra la moderatrice Alessandra Sardoni, il teologo e giornalista padre Antonio Spadaro e il regista americano, intervenuto in collegamento video.
Una rassegna per rileggere Pasolini
L’appuntamento fa parte dell programma di PPP Visionario, la rassegna iniziata a ottobre e in corso durante tutto il mese di dicembre, pensata per onorare, a mezzo secolo dalla sua morte, la memoria, l’eredità e la visione profetica di uno dei più complessi e affascinanti intellettuali del Novecento con oltre cento eventi (spettacoli, concerti, reading, incontri, proiezioni, oltre a percorsi urbani ed eventi sportivi).
La vocazione alla bellezza secondo Scorsese
La radicalità, l’urgenza, l’immediatezza del cinema di Pier Paolo Pasolini nel Vangelo secondo Matteo — ma anche negli episodi più visionari e poetici di Accattone — hanno offerto l’occasione di parlare della vocazione alla bellezza di Martin Scorsese ed esplorarla in profondità. Il regista di Silence ha fatto riferimento esplicitamente all’ora et labora benedettino, e alla consapevolezza che i doni ricevuti crescono solo se usati e condivisi in progetti reali. Come i talenti della parabola evangelica, che crescono solo se condivisi e spesi per gli altri, non solo per se stessi.
Male, cinismo e ambiguità
Il nemico da combattere, per Pasolini è "la grigia orgia di cinismo del mondo contemporaneo" ha aggiunto padre Antonio Spadaro, mentre Scorsese preferisce esplorare il mistero del male all’interno dei suoi personaggi in modo più complesso, sfumato e ambiguo. Il protagonista di Taxi Driver, ad esempio, è insieme simpatico e spaventoso quando sprofonda nella visione distorta di se stesso e diventa preda della sua stessa furia.
"Con De Niro e De Palma non dovevamo parlare molto, sapevamo subito cosa fare" chiosa il regista parlando di quella sintonia fiorita sul set che ha dato vita a pietre miliari del cinema del Novecento. In Taxi Driver il protagonista è uno dei figli a noi contemporanei delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, scrittore molto amato da Scorsese. Che da sempre ha desiderato girare un film sulla figura “cristica” del protagonista del romanzo L’idiota e usare l’occhio del cinema come uno strumento privilegiato per interrogare se stesso, il mondo e quell’uomo che diceva essere insieme Figlio dell’Uomo e Messia.
Il Vangelo come provocazione
"Da studente avrebbe voluto realizzare un film su Gesù" ha spiegato padre Spadaro. Un Gesù senza aureola, apparentemente come tanti, incontrabile nel proprio quartiere, nella vita di tutti i giorni. "Poi è uscita la pellicola di Pasolini e ha capito che quel che avrebbe voluto fare era stato già fatto". Intervistato da Oriana Fallaci, Pasolini confessò il desiderio di ambientare a New York il film che avrebbe voluto dedicare a san Paolo, vedendo negli Stati Uniti d’America molte analogie con l’antica Roma. Il luogo dove ambientare una risposta al mondo contemporaneo “santa, cioè scandalosa”.
Sia per Pasolini che per Scorsese il Vangelo è una provocazione, una domanda che non si riesce a ignorare. Il poeta italiano fu colpito dall’urgenza e dall’immediatezza profetica di Gesù che unisce in sé mitezza e libertà assoluta e trovò in Matteo, in un certo senso, una sceneggiatura già scritta, una narrazione che già parlava nel suo stile, con sobrietà e durezza. Una storia semplice ed essenziale, tradotta per immagini con molti primi piani e tanti campi lunghi sul paesaggio. "Matteo non abbellisce, non attenua: mostra un Cristo che agisce con urgenza, che interpella" continua padre Spadaro, passando poi a parlare di un libro molto amato da Scorsese, La pratica delle presenza di Dio di Frate Lorenzo della Resurrezione, recentemente citato da Papa Leone XIV durante il suo primo viaggio apostolico in Medio Oriente come chiave di lettura privilegiata della sua spiritualità. Scorsese ha regalato a Spadaro una copia del libro con la prefazione di Dorothy Day, "l’unica che aiutava, insieme agli altri del suo gruppo, gli zombie di Spring Street, gli alcolizzati che non riuscivano neanche a camminare, e che facevano paura a tutti, anche a me, da ragazzino".
L'unica cosa che ha un senso
"L’unica cosa che ha un senso è il cristianesimo. È quello che penso adesso, ora che sono un po’ attempato", ha concluso Scorsese con uno dei suoi sorrisi più luminosi, tra i tanti che hanno bucato lo schermo durante l’incontro all’Auditorium Ennio Morricone.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui