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Il presepe come patrimonio vivo

A Palazzo Altemps, fino al 10 gennaio 2026, una mostra racconta il presepe non come oggetto, ma come pratica culturale condivisa. Manualità, territori e comunità al centro di un patrimonio immateriale che unisce fede, lavoro e memoria

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Fare i presepi. Saperi e pratiche delle comunità è un progetto che assume il presepe come pratica culturale complessa, non solo come espressione devozionale o oggetto da contemplare. La mostra, visitabile fino al 10 gennaio 2026 al Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, si concentra su una selezione circoscritta di presepi regionali, evitando ogni ambizione enciclopedica. La scelta è dichiaratamente metodologica: non rappresentare “il presepe italiano”, ma interrogare il "fare presepi" come campo di saperi, di trasmissioni e di autorappresentazioni territoriali. Un lavoro che nasce dal gesto e dalla manualità.
L’iniziativa si sviluppa dalla collaborazione tra l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale e l’Associazione Nazionale Città dei Presepi, con il Museo Nazionale Romano come luogo di confronto. Il baricentro non è l’oggetto finito, ma il processo: una pratica che incorpora competenze tecniche, immaginari condivisi, economie locali e forme di riconoscibilità comunitaria.

La chiesa di Sant’Aniceto nel Palazzo Altemps
La chiesa di Sant’Aniceto nel Palazzo Altemps

Palazzo Altemps: una collocazione che orienta la lettura

La collocazione non è un semplice contenitore. La chiesa di Sant’Aniceto e la cappella di San Carlo Borromeo, spazi di culto privati della famiglia Altemps, costituiscono un dispositivo interpretativo potente, segnato da committenza aristocratica, devozione post-tridentina, culto delle reliquie e rappresentazione dinastica. Inserire qui i presepi significa sottoporli a un confronto diretto con un sistema iconografico e simbolico già fortemente strutturato.

Federica Rinaldi, direttrice del Museo Nazionale Romano, lo chiarisce: “Arte e storia si incontrano nel Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps e nei luoghi di culto privati della famiglia Altemps”. La mostra si costruisce in questo incontro: tra patrimonio monumentale e patrimonio praticato, tra cultura storicizzata e saperi in uso. Il presepe entra in uno spazio non neutro, e ne accetta la sfida.

Ascolta l'intervista a Federica Rinaldi, direttrice del Museo Nazionale Romano

Comunità come struttura che produce cultura

La dimensione comunitaria non è evocata come valore astratto, ma come struttura concreta di produzione culturale. Rinaldi sottolinea che la mostra “parla di comunità perché sono presepi regionali”, frutto di “un lavoro di studio, ricerca e mappatura condotto dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale”. In questa prospettiva, il presepe funziona come dispositivo di autorappresentazione: nei materiali, nelle architetture di scena, nei mestieri raffigurati, nei paesaggi ricostruiti. Ogni dettaglio rimanda a un luogo e a una storia riconoscibili. Il territorio non è uno sfondo, ma un principio organizzatore che rende il presepe leggibile come forma di riconoscimento collettivo.

Un presepio allestito nella cappella di San Carlo Borromeo nel Palazzo Altemps
Un presepio allestito nella cappella di San Carlo Borromeo nel Palazzo Altemps


Sacro, famiglia, origine francescana

Rinaldi inquadra il presepe come una forma centrale della cultura italiana, in cui dimensione religiosa, tradizione e vita quotidiana restano profondamente connesse. Ricorda come il valore del presepe “risale ancora a San Francesco d’Assisi” e come questa pratica sia diffusa “in tutta l’Italia”, ben oltre, quindi, il modello napoletano più noto. In questo senso, il presepe appartiene a un patrimonio che va oltre quello custodito nelle collezioni museali: “Non è soltanto il patrimonio delle collezioni, dell’architettura, dei palazzi, ma è anche il patrimonio dei saperi, del saper fare”. È una pratica che vive nella trasmissione e nella partecipazione, e che il museo è chiamato a riconoscere e accogliere. Alcune opere in mostra introducono inoltre uno scarto significativo rispetto all’iconografia canonica della Natività. Rinaldi cita un presepe che l’ha particolarmente colpita, in cui “è raffigurata una mamma con una culla e un papà che sta lavorando”. Una rappresentazione della famiglia colta nella quotidianità, che restituisce un’idea di sacralità non separata dalla vita, ma immersa nel presente delle relazioni.

Patrimonio immateriale: una categoria operativa

L’adozione della categoria di patrimonio immateriale non ha qui valore dichiarativo, ma operativo. Definire il presepe come arte immateriale significa spostare l’attenzione sulla dimensione processuale: competenze, tecniche, modalità di trasmissione, capacità di adattamento. Sapere come si fa, e perché. La mostra risulta convincente quando riesce a rendere visibile questa dimensione, evitando la riduzione stilistica o folklorica. I presepi funzionano allora come frutto di continuità e trasformazioni, in cui tradizione e innovazione si rinegoziano costantemente.

Ascolta l'intervista a Fabrizio Mandorlini, coordinatore dell’Associazione Nazionale Città dei Presepi

La mappatura come atto critico

Alla base dell’esposizione c’è un lavoro di mappatura che va letto come atto selettivo e critico. Fabrizio Mandorlini, coordinatore dell’Associazione Nazionale Città dei Presepi, ricorda che “attraverso la mappatura che sta andando avanti insieme all’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale di tutta l’Italia dei presepi italiani” è stato possibile costruire una scelta capace di restituire “l’identità di tanti piccoli paesi, di tante realtà dell’Italia diffusa”. Mappare significa stabilire criteri di visibilità, costruire gerarchie, rendere dicibile ciò che spesso resta marginale. Decidere cosa mostrare e come. In questo senso, la mostra evita la retorica dell’indistinto e mette in evidenza differenze reali di linguaggi, tecniche e rapporti con il territorio. “Fare presepi vuol dire fare comunità, creare socialità e occasione di incontro”, afferma Mandorlini, aprendo interrogativi sul senso attuale di queste pratiche.

Ascolta l'intervista a Leandro Ventura, direttore dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale

Saper fare, mestieri, trasmissione oltre il digitale

Il contributo di Leandro Ventura, direttore dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, chiarisce perché il presepe costituisca un campo privilegiato di osservazione del patrimonio immateriale. Oltre alla dimensione devozionale della Natività, il presepe mette in gioco “una ampia gamma di elementi del patrimonio immateriale”, a partire dai saperi artigianali necessari alla sua realizzazione, spesso oggi fragili o a rischio di scomparsa. Ventura sottolinea come nel presepe tradizionale si concentri un vero e proprio racconto del lavoro: mestieri, gesti, strumenti legati alle generazioni precedenti, che rischiano di diventare invisibili, soprattutto perché “le nuove generazioni vivono davanti a un tablet” e non hanno più familiarità con attività che un tempo erano parte dell’esperienza quotidiana. Il presepe diventa così un archivio di memoria attiva, capace di conservare informazioni che altrimenti “potrebbero andare perdute”.

La sua forza sta nella dimensione concreta del fare. “Fare il presepio vuol dire mettere le mani sul materiale”, afferma Ventura, insistendo su un rapporto diretto con la materia, con il tempo della lavorazione, con la manualità come forma di conoscenza. In questa prospettiva, il presepe assume una funzione educativa e identitaria: rende visibili mestieri, competenze e saperi che oggi molti giovani non riconoscono più nemmeno per nome, rafforzando il legame tra la comunità e ciò che sa fare.

Una prova di museologia consapevole

La mostra Fare i presepi. Saperi e pratiche delle comunità funziona come prova museologica: mette alla prova un museo archeologico confrontandolo con un patrimonio che vive di pratica e di trasmissione, non di permanenza. Palazzo Altemps, con la sua densità storica e simbolica, diventa il banco di verifica di questo confronto. Il valore della mostra sta nella sua capacità di non limitarsi a confermare una tradizione, ma di argomentarla. Il presepe emerge come forma culturale mobile, mentre il palazzo agisce come dispositivo critico che costringe a interrogare il rapporto tra immagine, devozione, potere e memoria. È in questa tensione, non nella celebrazione, che riesiede la forza dell'esposizione. 

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22 dicembre 2025, 12:16