Il presepe di Betlemme nel diario di viaggio di Matilde Serao
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
Matilde Serao sapeva riconoscere e descrivere l'anima dei luoghi. Grazie all’energia della sua scrittura, felice connubio di reportage e narrazione, è stata capace di fissare la memoria di un suo itinerario in Terra Santa. Aveva trasferito quell'esperienza nelle pagine di un libro pubblicato nel 1920 dai fratelli Treves: Nel paese di Gesù. Ricordi di un viaggio in Palestina. Di quell’impressionante diario, vissuto e scritto a fine Ottocento, quando l’area era sotto il controllo dell’impero ottomano, tornano disponibili, grazie all'editore Garzanti, alcune parti riunite nel volumetto Nel presepio di Betlemme, pagine che guidano il lettore in un pellegrinaggio del cuore attraverso la grande città di Gerusalemme, il piccolo villaggio della Natività e la Galilea di Gesù. Su queste tappe principali si posa lo sguardo acutissimo di Matilde Serao, quella vivacità intellettuale che ne fa non a caso la fondatrice di grandi quotidiani come Il Corriere di Roma e Il Mattino.
L'anima di un Paese
A Gerusalemme la scrittrice guarda con ammirazione alla presenza, tra le altre, della "povera cara chiesa latina, la sola che per mezzo dei frati francescani resista, da centinaia di anni, impavida, all’urto di tanta guerra". Una chiesa che definisce anche santa e "costretta a navigare per mari tempestosi, con gli occhi fissi in una stella divina, ma ogni minuto, in pericolo, povera chiesa nostra indimenticabile!". La sua immersione in Terra Santa è un percorso di ricerca, che unisce al vigore di una cronaca informata, scanzonata e coraggiosa, la profondità di una spinta spirituale, protesa al di là di ogni realtà fenomenica, decisa a oltrepassare la linea di superficie per dare risposta a domande più urgenti, cercando il respiro vitale delle cose e dei luoghi. Scrive nella sua introduzione: "fuggitiva e pure onnipresente, fluttuante, fluida, l’anima di un paese è, talvolta, negli occhi delle sue donne, in una sua via, in un paesaggio a una cert’ora, in un frammento di statua, in un’arme arrugginita, in una canzone, in una parola. È un fiore, talvolta, l’anima di un paese".
Una Betlemme sognata che è realtà
Quel fiore che si fa frutto, a Betlemme ha un nome: Gesù. "Ora, circola in questa Betlemme, così sognata, spesso, nei sogni infantili, tale un soffio soave di bene che, sembra — e non sembra solo, ma è — la Natività v’irradii tutta la sua poesia. Questi Betlemiti amano il lavoro, come la sorgente di ogni loro fortuna: le loro industri mani incidono delicatamente la madreperla, in tanti oggetti di pietà", fatti di ambra, di legno di olivo, di pietra nera vulcanica del Mar Morto. Il Natale a Betlemme ha uno "sfoggio grandioso", da tutta la Terra Santa le persone si mettono in cammino, racconta la scrittrice, per assistere alle funzioni nella chiesa della Natività. Il tono più toccante di Serao è nello stupore che la sua voce tradisce percependo, passo dopo passo, che l’immaginario lucente formatosi nell’infanzia non è fiaba, ma verità. "Qui — scrive Serao — è nato il Bimbo verso cui si stendono, da duemila anni, mani di tutti i bimbi cristiani della terra: questa è la culla dove egli è stato deposto, dalle mani leggiere e carezzose della giovane madre: qui, forse, per addormentare il piccolo infante essa gli cantò una canzoncina, nel lento e molle linguaggio ebraico. Questo il presepio. Questo è il posto semplice, ingenuo, candido, familiare, che le più umili immaginazioni sognano".
La grotta della Natività
Il Mistero di un Bambino nato in un khan — che noi chiamiamo capanna e altro non è che un rifugio, a volte appoggiato a una roccia e dotato, quando "è magnifico", di un lembo di tettoia —, commuove "nella sua nudità e nella sua povertà". La scrittrice non può dimenticare la viva roccia della spoglia e piccola grotta dove il cuore di Gesù ha palpitato la prima volta. Vede e fa vedere — con occhi e parole che agiscono ben oltre la sola intelligenza — la campagna di alberi, di prati, di viottole, la "popolazione di pastori, di agricoltori, di suonatori di cornamuse, di cacciatori, persino". Nonostante le vicissitudini, "e non sono state poche", questi luoghi e la loro santità sono rimasti intatti. Preso un piccolo cero in chiesa, Serao scende dodici alti gradini tagliati nel muro, attraversa un corridoio strettissimo e buio finché un chiarore di lampade non la accoglie e le disvela la grotta della Natività. Tutto il resto nello sguardo della viaggiatrice si dissolve, le lampade e i marmi preziosi che formano gli altari, le tappezzerie istoriate, ogni orpello svanisce di fronte alla grandezza di quel Bambino venuto a cambiare il cuore dell’essere umano. Persino la Storia, con il suo carico immenso di dolore già allora, e oggi ancora di più, le sembra tacere per un momento dentro l’indicibile dolcezza del Natale di Gesù.
Il presepio è come essi lo suppongono
Il Monte degli Ulivi, il Golgota, il Santo Sepolcro saranno certo oggetto dei resoconti di Matilde Serao per "tutte le esistenze consumate nelle lotte e nelle sofferenze", ma in Betlemme può ritrovare, dentro alla grotta pur fredda, una parte di sé, da condividere con i bimbi che "non sanno il dolore della Passione", il significato solenne della mirra. "Bisognerà dirlo, — conclude l’autrice — al ritorno, ai bimbi dai grandi dolci occhi curiosi, dove brilla una luce di intelligenza e di pietà, che il presepio è come essi lo suppongono, una piccola grotta dove il musco e l’erba si stendevano, dove nella penombra s’intravvedevano i placidi occhi del bove e il bianco muso dell’asinello, dove Maria si è chinata sul bimbo per riscaldarlo del suo calore, dove, innanzi alla porta, tutta una fila di gente buona e semplice è venuta ad inginocchiarsi". Nella grotta buia la luce della Resurrezione brilla già.
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