La copertina del volume "Introduzione all'antropologia filosofica" di Paul Landsberg La copertina del volume "Introduzione all'antropologia filosofica" di Paul Landsberg 

L'antropologia filosofica di Paul Landsberg, pietra miliare dell'umanesimo cristiano

Una delle maggiori opere del grande pensatore tedesco del secolo scorso è stata pubblicata dall’editore Rubbettino con un ampio prologo del teologo don Massimo Serretti

di Costanzo Scheffer

Paul Ludwig Landsberg (1901-1944), tedesco di appartenenza storica e linguistica, ebreo per discendenza, cristiano per il Battesimo e cattolico per conformazione spirituale e intellettuale, è uno dei grandi testimoni e pensatori del XX secolo. Fin da giovanissimo conosce di persona Romano Guardini e da studente frequenta i corsi di Edmund Husserl e Martin Heidegger, ma la figura accademica che gli aprirà l'accesso alla docenza universitaria (con uno studio su Sant’Agostino) è quella di Max Scheler con il quale si laurea a Bonn. Nel 1933, a causa dell’ascesa del nazionalsocialismo, lasciò la Germania, riparò inizialmente in Svizzera e, immediatamente dopo, gli venne revocata la docenza a motivo della sua appartenenza ebraica e della sua posizione espressamente antitotalitaria. Dopo dieci anni di esilio tra Spagna e Francia, avendo rifiutato la via di fuga che gli amici gli avevano offerto, fu catturato dalla Gestapo e rinchiuso nel lager di Sachsenhausen (Oranienburg) presso Berlino nel quale morì nell’aprile del 1944.

Ad oggi la lingua italiana è quella nella quale sono disponibili al lettore la maggior parte delle opere di Paul Landsberg. Una delle sue opere maggiori, l’Introduzione alla antropologia filosofica è stata appena pubblicata (Rubbettino, novembre 2025) con un ampio e rifinito prologo di Massimo Serretti dal quale traiamo alcuni spunti.

“Paul Landsberg ha un posto ben determinato nella filosofia dell’uomo del XX secolo (...) In tutta la sua opera è chiaro che l’essere persona dell’uomo è un dato creazionale (tutti gli uomini in quanto tali sono persone) e, perciò stesso teologico”

Quest’opera che viene pubblicata a Francoforte nel 1934 (la traduzione italiana è la prima mondiale), si colloca tra le due guerre in un ventennio che ha assistito ad una vera e propria fioritura di scritti di filosofia dell’uomo. Un fenomeno che si è, in qualche maniera, reduplicato dopo la seconda guerra mondiale, seppur con una tempistica diversa ed una intensità minore. Fu come se all’offesa e alla morte dell’uomo fosse seguita una ripresa di consapevolezza della sua dignità ed un moto di volontà di una sua fondamentazione più sicura e stabile. «Persona è il nome della dignità» affermavano i Dottori medievali.

Negli anni Venti e Trenta Serretti nel suo Prologo distingue quattro posizioni di filosofia dell’uomo. Nella prima è centrale la figura di Max Scheler che fin dagli anni del liceo, per sua stessa ammissione, fa sua la domanda kantiana centrale («Che cosa è l’uomo?»). Il tentativo di Scheler, come anche quello di H. Pleßner e A. Gehlen, permane in un quadro intracosmico. Indicativo è al riguardo il titolo stesso della sua ultima opera: La posizione dell’uomo nel cosmo (1928).

Nella seconda corrente troviamo i critici della filosofia dell’uomo di differenti estrazioni: da Husserl a Heidegger, da Horkheimer a Lukács. Nella terza incontriamo coloro che fanno valere l’antropologia teologica contro quella filosofica. Secondo costoro solo l’antropologia teologica conosce la realtà e il mistero dell’uomo, quella filosofica balbetta e non perviene al centro ed anzi pretende per sé un ruolo primario che non le spetta, sottraendolo all’antropologia teologica che è di esso l’unica detentrice. Anche questa impostazione antifilosofica diviene, alla fine, antiumanistica.

“Gli autori dell'umanesimo cristiano hanno superato la «tesi separatista», come la chiama Henri de Lubac, e considerano un compito proprio del pensiero filosofico quello di manifestare l’uomo «alla luce di Cristo», anticipando, in questo modo, l’antropologia del Vaticano I”

Nella quarta posizione troviamo gli autori che, insieme a Paul Landsberg, affermano l’«umanesimo cristiano». In quegli anni, oltre e insieme all’opera di Paul Landsberg, risaltano gli scritti di T. Haecker, R. Guardini, E. Przywara, E. Stein.

Questi autori hanno in comune l’impianto di fondo: hanno superato la «tesi separatista», come la chiama Henri de Lubac, e considerano un compito proprio del pensiero filosofico quello di manifestare l’uomo «alla luce di Cristo» (GS 3), anticipando, in questo modo, l’antropologia del Vaticano II.

Un esito prezioso di questa impostazione che da principio è al di là del «pessimo dualismo» (de Lubac) è la proposizione basilare: «l’uomo è persona».

Paul Landsberg ha un posto ben determinato nella filosofia dell’uomo del XX secolo, in quanto sviluppa una antropologia a partire da una esplicita personologia. In tutta la sua opera è chiaro che l’essere persona dell’uomo è un dato creazionale (tutti gli uomini in quanto tali sono persone) e, perciò stesso teologico. Questo realismo del dato teologico non è in Landsberg un raggiungimento o una risultante, ma piuttosto un punto di partenza che muove, come una “vis a tergo” o come una «luce da sopra», tutta la riflessione e la dinamica del pensiero.

È a partire da questa base e tenendo ferma questa impostazione che Paul Landsberg continuerà, anche negli anni difficili dell’esilio, a sviluppare la meditazione su quell’opera «molto buona» che è l’uomo.

L’antiumanesimo depersonalizzante totalitario non avrà l’ultima parola, anche nei confronti di questo esimio testimone, se qualcuno farà propria la sua filosofia della persona e la sua filosofia dell’uomo.

L’Introduzione all’antropologia filosofica è rilevante soprattutto per questo, oltre che per l’edizione di una pietra miliare dell’umanesimo cristiano.

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27 dicembre 2025, 15:32