Gaza, dopo le bombe e la fame ora si muore anche per il freddo
Federico Piana - Città del Vaticano
Quattro bambini ed un adulto seduti accanto ad una flebile fiammella provano a scaldarsi come possono. Almeno le mani, che rischiano di congelarsi prima di tutto il resto del corpo. A guardare con attenzione la foto pubblicata qui sopra, non ci si può non accorgere che i loro abiti non sono adatti alla stagione gelida che sta imperversando nella Striscia di Gaza, piombata in un cessate-il-fuoco surreale dove si sono congelate anche paure e speranze.
Aiuti in ritardo
Cappotti, abiti pesanti e coperte sarebbero dovuti arrivare nei campi profughi con i convogli degli aiuti umanitari promessi subito dopo il cessate-il-fuoco. Invece ancora nulla. E chissà se mai arriveranno visto che, dal 10 ottobre scorso, le consegne dei beni di prima necessità sono state al di sotto delle quantità stabilite nell’accordo di tregua. L’analisi, frutto di uno studio dell’Associated Press su dati dell’esercito israeliano, svela che oltre 2 milioni di persone in tutta la Striscia ora non solo rischiano di morire di fame ma anche di freddo.
Profughi in pericolo
Sulle tende di fortuna piazzate in terreni dissestati e paludosi che ospitano anche intere famiglie, la tempesta Byron — il cui transito è previsto nelle prossime ore — è pronta a scaricare una quantità di pioggia mai vista prima. E i meteorologi assicurano che non sarà l’unica tempesta nell’inverno sottozero di Gaza. Ecco perché le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme, soprattutto per i neonati per i quali l’ipotermia potrebbe essere fatale. «Abbiamo intensificato gli sforzi per fornire assistenza alle comunità che vivono in aree soggette a inondazioni anche aumentando la distribuzione di abiti invernali per bambini, da cinquemila a ottomila kit al giorno» fa sapere il Coordinamento degli Affari umanitari dell'Onu. Ma sicuramente non basterà.
Persisenti impedimenti
Chi è sul campo, come l’Unicef, denuncia con forza che «le esigenze superano di gran lunga la capacità di risposta della comunità umanitaria, dati i persistenti impedimenti». Ostacoli che non comprendono solo la generale situazione di insicurezza ma anche le colpevoli difficoltà di sdoganamento, gli incomprensibili ritardi e i sospetti dinieghi di chi gestisce il controllo dei punti di accesso nella Striscia di Gaza.
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