Sudan, l'inferno del Darfur tra violenze e tratta di esseri umani
Valerio Palombaro - Città del Vaticano
Violenze etniche e di genere, torture, cadaveri accatastati ai bordi delle strade, sfollamenti e uso della fame come arma di guerra. Dall’inferno del Darfur, a un mese dalla caduta di El Fasher, continuano ad arrivare drammatiche testimonianze delle oltre 100.000 persone in fuga dalla città ora in mano delle Forze di supporto rapido (Rsf). Quasi mezzo milione, viene stimato dall’Onu, sono gli sfollati dall’inizio dell’assedio un anno e mezzo fa. I loro racconti sono le poche fonti dirette che permettono di definire i contorni della crisi umanitaria più grave del pianeta: quella “dimenticata” del Sudan, il vasto Paese dell’Africa orientale dilaniato da due anni e mezzo di una guerra intestina che ha causato oltre 150.000 morti e 14 milioni di sfollati.
Torna l'incubo dei crimini di guerra
Fallita la transizione democratica che era stata avviata dopo il colpo di stato del 2019, il Sudan e il Darfur sono ripiombati nello scenario di crimini di guerra vissuto più di 20 anni fa e per cui ancora pende un mandato di cattura della Corte penale internazionale per l’ex presidente Omar al Bashir (1989-2019). Fame e violenza sessuale sono usate oggi «come armi di guerra», ha denunciato ieri il Parlamento europeo adottando ad ampia maggioranza una risoluzione che giudica le atrocità in atto come un possibile genocidio. Donne e bambini sono in prima linea. «Siamo profondamente preoccupati per le allarmanti segnalazioni di tratta di esseri umani dopo la presa di controllo di El Fasher e delle aree circostanti da parte delle Rsf», denunciano in queste ore gli esperti dell’Onu per i diritti umani, riscontrando un netto aumento anche del numero di bambini reclutati come combattenti.
L'aiuto agli sfollati
Oltre 12 milioni di persone, più di un quarto della popolazione sudanese, sono a rischio violenza di genere secondo i dati dell’organizzazione umanitaria Cesvi. «Molte famiglie, soprattutto donne e bambini dai 2 ai 12 anni, riescono a fuggire ed a raggiungere le aree dove si concentra la maggior parte degli sfollati: in queste zone raccogliamo le nostre storie e aiutiamo queste persone a superare i traumi che hanno subito», afferma ai media vaticani il direttore generale di Cesvi, Stefano Piziali. L’organizzazione da lui diretta è tornata in Sudan nel 2024 e opera oggi nello Stato del Mar Rosso, nel nord-est lontano dall’epicentro degli scontri ma dove arrivano tante persone in fuga. «Gli sfollati ci raccontano dell’uso della violenza sistematica per arruolare i minori, intimidendo gli adulti e le donne stesse», aggiunge Piziali.
Collegamenti difficili e sanità al collasso
Dall’inizio del conflitto si è registrato un aumento del 500% dei casi di uccisioni, violenza sessuale e reclutamento di bambini-soldato. Spesso si tratta di violenze attribuite alle Rsf e ai gruppi armati affiliati, ma sono stati documentati anche casi commessi dall’esercito regolare. Le donne sopravvissute alla violenza di genere provengono soprattutto da aree di conflitto aperto o a “controllo variabile”, dove la presenza armata è particolarmente intensa. Ma tali episodi si verificano sovente anche nei campi per gli sfollati interni, dove l’insicurezza e la povertà espongono le donne a sfruttamento sessuale e violenza domestica. Molto colpite sono anche comunità etniche specifiche, come le Masalit, le Nuba e altre popolazioni non arabe del Darfur, sistematicamente prese di mira. «Il nostro intervento — riprende Piziali — avviene all’interno dei centri per sfollati, sostenendo le famiglie nel superare i traumi che hanno subito, con un lavoro comunitario. Perché è estremamente importante fare in modo che il gruppo delle persone sfollate, che magari viene anche da territori diversi, possa trovare al suo interno delle forme di leadership e di sostegno per aiutare i più vulnerabili a superare i traumi che hanno subito. I nostri operatori hanno infatti un limite oggettivo e non possono raggiungere più di un certo numero di persone, per questo noi crediamo molto nel lavoro comunitario e nel supporto reciproco, facilitato da parte nostra con la fornitura di aiuti materiali, cibo e beni igienico-sanitari».La mortalità diretta e indiretta legata alla violenza di genere, purtroppo, è in aumento mentre le possibilità di ricevere cure adeguate restano drammaticamente basse: secondo Cesvi, solo il 27% dei 278 punti sanitari valutati per la gestione clinica dello stupro è pienamente operativo. «Il Sudan è un Paese molto vasto con comunicazioni molto complesse», sottolinea il direttore, spiegando che «spostare un kit igienico-sanitario ha un costo elevato, in termini di logistica, di protezione dei trasporti, di verifica della sicurezza».
Una guerra "dimenticata"
E purtroppo il Sudan sconta il fatto di essere una crisi trascurata, non solo dai media ma anche dalla politica. «È una crisi che ha fortemente risentito dell’indebolimento delle organizzazioni internazionali, in particolare dell’Onu — osserva Piziali —. Se noi vogliamo che questa crisi venga risolta, dobbiamo fare in modo che le organizzazioni internazionali riacquistino una credibilità: questo è possibile solo se gli Stati membri continuano a sostenere con le loro risorse i programmi multilaterali». Secondo il direttore del Cesvi, è pertanto fondamentale “un cambio di passo” così da sostenere le organizzazioni umanitarie che operano «nell’ultimo miglio della cooperazione» al fianco dei più bisognosi. «Siamo tornati in Sudan — conclude il direttore — proprio a seguito di questa cruenta e terribile guerra civile. In modo da garantire un aiuto immediato per la sopravvivenza e il superamento dei traumi da violenza delle persone sfollate. Ma siamo specializzati anche nei programmi di accesso all’acqua: quindi distribuzione di acqua potabile e tutti i servizi collegati all’utilizzo di acqua pulita, compreso lo smaltimento perché si tratta di un bene prezioso che però, se non viene smaltito in modo appropriato, a sua volta è fonte di malattie come la malaria. Per cui, appena sarà possibile, contiamo di poter ampliare le nostre attività di aiuto in Sudan».
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui