Il capo della giunta militare al potere in Myanmar il generale Min Aung Hlaing Il capo della giunta militare al potere in Myanmar il generale Min Aung Hlaing

Il Myanmar tra guerra civile e crisi umanitaria, in bilico il voto di dicembre

Nel Paese del Sud-Est asiatico, ricordato dal Papa all'Angelus, si continua a morire sotto il fuoco dei gruppi che si contendono il potere. Il capo della giunta militare ha ammesso che non riuscirà a garantire le prossime elezioni, previste per dicembre, in tutte le regioni, mentre le milizie di opposizione tentano la via dello sharing dell'intelligence. L’analista Gabusi: “Serve la spinta internazionale per uscire da questo caos. La vera vittima è la popolazione civile”

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

La violenza in Myanmar non si ferma e il caos politico non aiuta certo ad arrestare la guerra tra l’esercito governativo e le milizie etniche che si oppongono alla giunta militare in un Paese messo in ginocchio da una perenne crisi umanitaria. Una situazione drammatica aggravatasi a causa delle recenti alluvioni e del devastante sisma di magnitudo 7.7 del 28 marzo scorso, che ha provocato almeno 3.700 morti e 4.800 feriti, portando il numero degli sfollati interni, secondo l’Unhcr, a oltre 3,5 milioni. Solo ieri l’appello di Papa Leone dalla finestra dell’Angelus si era levato per invocare la pace.

“Le notizie che giungono dal Myanmar sono purtroppo dolorose, riferiscono di continui scontri armati e bombardamenti aerei anche su persone e infrastrutture civili. Sono vicino a quanti soffrono a causa della violenza, dell’insicurezza e di tanti disagi. Rinnovo il mio accorato appello affinché si giunga ad un cessate-il fuoco-immediato ed efficace. Che gli strumenti della guerra cedano il passo a quelli della pace attraverso il dialogo inclusivo e costruttivo!”

In bilico le elezioni generali di dicembre

In una situazione di insicurezza perenne e crisi politica, risulta quasi impossibile tenere la conta delle vittime per il blocco di internet e il bavaglio all’informazione. Nei giorni scorsi il capo della giunta al potere ha ammesso che l’amministrazione sostenuta dai militari non sarà in grado di indire le prossime elezioni generali in tutto il Paese, in programma per dicembre, a causa della guerra civile. “Non possiamo tenere le elezioni ovunque al 100%” ha dichiarato il generale Min Aung Hlaing, comandante delle forze armate dal colpo di stato del 2021, facendo così naufragare la speranza della popolazione di avere un nuovo governo eletto democraticamente. “E’ una situazione davvero pesante e senza l’apporto della Comunità internazionale sarà impossibile una vera soluzione” spiega ai media vaticani Giuseppe Gabusi, direttore del programma indo-pacifico del World Affairs Institute di Torino. “Già la commissione elettorale a metà settembre aveva dichiarato che circa il 15% dei collegi era in mano a forze che non sono sotto il controllo del Governo centrale. Adesso tramite una comunicazione alla nazione, il generale stesso ha riconosciuto che probabilmente la situazione è anche peggiore, nel senso che le forze armate controllano solo il 20% del territorio e l’altro 80% è per metà conteso tra le forze armate e i ribelli e per l'altra metà in mano a vari soggetti che sono spesso dei signori locali, dei signori della guerra o dei trafficanti di droga o sono collegati comunque alle milizie etniche, per cui il governo dispotico e anche un po' distopico del Myanmar è costretto a fare conti con la realtà”.

Ascolta l'intervista a Giuseppe Gabusi

Lo sharing dell'intelligence per rendere più forte l'opposizione

Attualmente le forze armate governative controllano più che altro le città che si trovano nella parte centrale del Myanmar: quindi lungo il bacino del fiume Irawati, ma tradizionalmente fin dall'indipendenza tutte le zone di confine del Myanmar, le zone degli altopiani non sono mai state controllate dal Governo centrale e sono in mano a diverse milizie etniche organizzate, parliamo dello Stato Karena, dello Stato Kachin nella parte orientale del Paese e poi ovviamente anche dello Stato Rakhine nella parte più occidentale. In questi giorni il National Unity Government, che rappresenta il governo in esilio, sta avviando un processo di integrazione dei servizi di intelligence di tutte le milizie attive, per rendere più forte l’opposizione. “E’ un processo fattibile se c'è la volontà politica di perseguire il risultato – prosegue Giuseppe Gabusi -.  I problemi di coordinamento tra il Governo di Unità Nazionale e tutta la vasta gamma di attori politici e militari che controlla altre parti del Paese ci sono sempre stati e non dobbiamo dimenticarci che questo organismo è di fatto in esilio, quindi sarà anche popolare, avrà pure il consenso della gente, ma ha bisogno poi di affidarsi alle entità presenti sul territorio per dare credibilità alla propria opposizione. Perciò coordinare una vasta gamma di attori, alcuni sinceramente democratici, alcuni autoritari, alcuni pacifici, alcuni fortemente militarizzati, alcuni giovani idealisti, penso alle People's Defense Forces che si sono formate spontaneamente con i ragazzi e le ragazze che hanno lasciato le città per andare a fare training presso le armate etniche e organizzate, non è assolutamente facile. Sicuramente lo sharing dell’intelligence è un primo passo ma serve un progetto di lungo periodo per uno Stato federale che tenga insieme le diverse anime del Myanmar”.

Serve un cordinamento internazionale

Per spingere il processo di democratizzazione, gli organismi internazionali e le potenze regionali possono senz’altro avere un ruolo positivo, continua l’analista. “L' Asean, per esempio, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico, vorrebbe sostanzialmente giungere ad un accordo tra le parti e ad un cessate il fuoco, ma è divisa al proprio interno. Alcuni Stati membri sono più vicini alle posizioni dell'Occidente, come la Malaysia, l'Indonesia e Singapore e chiedono la cessazione delle ostilità prima di avere delle elezioni che siano veramente credibili. Mentre altri Paesi, ad esempio la Thailandia, insieme alle grandi potenze come la Cina, l'India e la Russia, pensano che le elezioni si possano tenere anche senza il cessato del fuoco, quindi c'è una divisione molto profonda. La presidenza attuale dell'Asean, affidata alla Malaysia, è una presidenza che appare più pragmatica, c'è appena stata una visita ufficiale in Myanmar da parte della Malaysia per cercare in qualche modo di ottenere dalla Giunta la promessa che le elezioni possano essere poi un primo passo verso una maggiore forma di ingaggio, per un destino futuro del Paese che sia condiviso. Temo che questo sia un'illusione, perché senza un’iniziativa veramente internazionale seria che affronti di petto tutte le questioni aperte del Myanmar, anche queste elezioni non serviranno a niente, perché la vera vittima di tutto questo è la popolazione civile”.

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20 ottobre 2025, 17:25