Sudan, 75 morti per un attacco contro un campo profughi in Darfur
Sara Costantini – Città del Vaticano
Oltre 75 persone sono rimaste uccise oggi in un attacco effettuato dai paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) contro il campo profughi di Abu Chok, vicino ad el-Fasher, nel Darfur, nel Sudan settentrionale. Lo ha riferito l’unità di emergenza che tra enormi difficoltà opera del campo profughi, precisando che un drone esplosivo ha preso di mira gli sfollati radunati in una moschea. Decine i feriti, molti dei quali in gravi condizioni. El Fasher — ultima roccaforte dell’esercito sudanese nel Darfur, dove da mesi oltre 260.000 civili sono bloccati in condizioni disperate, senza aiuti e dove manca tutto — è sotto assedio delle Rsf da maggio del 2024. Un’inchiesta dell’Onu ha stabilito che le Rsf hanno commesso crimini contro l’umanità. La guerra civile in Sudan è divampata nell’aprile del 2023, e, da allora, i combattimenti e gli attacchi hanno provocato almeno 150.00 morti, soprattutto civili inermi, 12 milioni di sfollati (su circa 50 milioni di abitanti), e una delle peggiori crisi umanitarie del 21° secolo.
La tragedia dei più piccoli
Un intero Paese è ridotto in macerie, e a pagarne il prezzo più alto sono, come sempre, i più vulnerabili: i bambini. Chiara Zaccone, capo missione Coopi (Cooperazione Internazionale) in Sudan, ogni giorno vive la sulla propria pelle il dolore e la lotta per la sopravvivenza di chi non ha più nulla. La sua testimonianza, raccolta dai media vaticani, è quella di chi ha visto la speranza lentamente dissolversi, ma anche quella di chi continua a lottare per aiutare i più deboli. Zaccone spiega la devastante situazione in cui si trovano i bambini sudanesi: «Il Sudan sta attraversando una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. Più di 30 milioni di persone hanno bisogno di aiuto, e la maggior parte sono bambini». Sono i più piccoli, infatti, le prime vittime di un conflitto che sembra non finire mai. Ogni giorno, migliaia di bambini perdono la vita, non solo a causa dell’atrocità della guerra, ma anche a causa della fame e della malnutrizione. A El-Fasher, città assediata da quasi due anni, la vita quotidiana è diventata un incubo: «La popolazione fatica a procurarsi anche un solo pasto al giorno.
Le community kitchen
Le famiglie sopravvivono grazie alle “community kitchen”, ma il prezzo del cibo è altissimo e la malnutrizione acuta, soprattutto tra i minori, è un problema diffuso», dice. È un circolo vizioso che schiaccia le persone più fragili: i bambini, privati di cibo e acqua, muoiono in silenzio, senza che il mondo li ascolti. «Recentemente, un gruppo di circa 100 persone è fuggito da El-Fasher. Hanno camminato per 20 giorni, attraversando il deserto e il Sudan con mezzi di fortuna, raccontando violenze incredibili e sofferenze estreme. Molti sono stati costretti a mangiare foglie e semi perché lì ormai il cibo era quasi finito» racconta ancora Zaccone. La sofferenza dei più piccoli è inconcepibile. «Nel 2025 l’assedio di El- Fasher si è intensificato. Oltre 250.000 civili sono intrappolati, di cui 150.000 sono bambini». Eppure, nonostante la guerra, ha affermato nella sua testimonianza dal campo, c’è chi non si arrende. «Le madri lottano con ogni forza per tenere in vita i loro figli, anche quando non c’è nulla da mangiare».
L’epidemia di colera
E come se la guerra non bastasse, nel Sudan dilaga anche una pesante epidemia di colera. Dal 2023 ha colpito in modo devastante il Paese. «A El-Fasher si registrano ogni giorno decine di casi e, purtroppo, anche diverse vittime. La carenza di acqua potabile e la precarietà dei servizi igienici nei campi sfollati sono tra le cause principali della diffusione del colera», spiega la capo missione. La sanità è collassata e «solo il 25% delle strutture sanitarie del Paese è ancora operativo». Mentre il Paese è sprofondato nel baratro, anche l’istruzione dei bambini è stata annientata. «Molte scuole sono state trasformate in rifugi per sfollati. In alcuni luoghi dell’est, si è tentato di aprire scuole temporanee, ma molti bambini hanno perso almeno un anno e mezzo di istruzione». Nei campi di sfollati, i bambini non possono più sognare il futuro. La guerra ha rubato loro il diritto di crescere, di imparare, di sperare. A El-Fasher, dove l’assedio è totale, «non ci sono scuole. I bambini non hanno accesso all’istruzione».
La forza della disperazione
In uno dei campi di sfollati, Zaccone ha raccolto una storia drammatica, impossibile da dimenticare. «In questi villaggi molte famiglie sono composte da madri sole con 4-5 figli. Abbiamo attivato dei progetti di “cash for work”, in cui uomini e donne hanno scavato canali di drenaggio per proteggere le tende dalle piogge. Un giorno ho incontrato una donna con tre figli, che era fuggita dalla capitale del Paese, Khartoum. Il marito era stato arrestato, e lei aveva già cambiato campo due volte prima di arrivare lì in quel villaggio. Quel giorno, finalmente, grazie al lavoro svolto, ha potuto comprare del cibo per i suoi figli, dopo due settimane di digiuno». In questa storia c’è tutta la resilienza di chi, nonostante il dramma che si sta vivendo, continua a sperare. «Sono racconti di una sofferenza estrema, ma anche di una forza incredibile», commenta la capo missione del Coopi. Che fa un appello disperato: «Abbiamo bisogno di continuare a parlare di ciò che sta accadendo qui. Abbiamo bisogno di raccontare la sofferenza della popolazione civile, che è la più colpita dalla violenza, dalle torture, dalle epidemie».
Ma nonostante le difficoltà, Zaccone e i suoi colleghi di Coopi non hanno intenzione di lasciare il campo. «Siamo qui dal 2004, continuiamo a restare, anche nelle zone più difficili. Forniamo acqua potabile, assistenza sanitaria e sostegno ai più vulnerabili».
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