Cerca

Cookie Policy
Il portale Vatican News utilizza cookies tecnici o assimilati per rendere più agevole la navigazione e garantire la fruizione dei servizi ed anche cookies tecnici e di analisi di terze parti. Se vuoi saperne di più clicca qui. Chiudendo questo banner acconsenti all’uso dei cookies.
ACCONSENTO
Scrigno Musicale
Programmi Podcast
La polizia sud coreana e i manifestanti in attesa della sentenza della Corte costituzionale La polizia sud coreana e i manifestanti in attesa della sentenza della Corte costituzionale  (AFP or licensors)

Corea del Sud, destituito il presidente Yoon

Unanime la decisione della Corte costituzionale a conferma dell'impeachment. Nuove elezioni verranno convocate entro 60 giorni. Chi sono i principali contendenti e perché il Paese continua ad essere diviso. I rischi delle fragili democrazie asiatiche

Guglielmo Gallone - Città del Vaticano

La decisione della Corte costituzionale sudcoreana è stata unanime: otto giudici su otto hanno votato per confermare l’impeachment del presidente Yoon Suk Yeol. Il verdetto, letto dal giudice Moon Hyung-bae e trasmesso in diretta nazionale, è entrato in vigore immediatamente. Ora la Corea del Sud dovrà tenere elezioni presidenziali anticipate entro 60 giorni, probabilmente il 3 giugno.

Cosa è successo e cosa succederà

Yoon era stato messo in stato d'accusa dopo aver dichiarato la legge marziale il 3 dicembre 2024 e ordinato la mobilitazione delle truppe per impedire al parlamento di votare contro il decreto. Aveva inoltre emanato un mandato d’arresto per diversi politici appartenenti all'opposizione e una perquisizione alla Commissione elettorale nazionale. La Corte ha stabilito che nessuna delle condizioni costituzionali per dichiarare la legge marziale — come una guerra o un’emergenza nazionale — era presente. Anzi, nella sentenza si legge che Yoon "non ha solo dichiarato la legge marziale, ma ha commesso atti che violano la Costituzione e la legge, tra cui la mobilitazione delle forze militari e di polizia per impedire al parlamento di esercitare la sua autorità". In questo modo, la magistratura ha messo fine a un caos che durava da mesi ed ha aperto allo scenario di nuove elezioni politiche. Tra i candidati favoriti spicca Lee Jae-myung, leader del Partito Democratico, che gode di ampio vantaggio nei sondaggi nonostante sia appena stato assolto dalla pena detentiva cui era stato condannato per aver mentito durante le elezioni del 2022, a conferma del complesso rapporto tra politica e giustizia in Corea del Sud. Tra gli altri vi sono Han Dong-hoon, ex leader del partito conservatore People Power Party e critico di Yoon, e Kim Moon-soo, ministro del Lavoro, che però ha detto di non voler correre. Non mancano all'appello l’ambizioso sindaco di Seoul Oh Se-hoon, con la sua agenda di riforme dal nome “Korea Growth Again”, e Hong Joon-pyo, sindaco di Daegu, storica roccaforte conservatrice.

La tensione popolare

Che le prossime elezioni siano tanto cruciali quanto divisive lo dimostra lo stallo sociale entro cui il Paese è stato immerso in questi mesi. Anche oggi, mentre la Corte leggeva la sentenza, nelle piazze di Seoul migliaia di persone si sono radunate in un clima di attesa e tensione. Al momento dell’annuncio, le reazioni sono esplose in due direzioni opposte. A Tapgol Park, tra gli anziani conservatori, l'incredulità ha lasciato spazio alla rabbia. Molti hanno accusato i giudici di essere stati corrotti. Al contrario, ad Anguk Station i manifestanti progressisti hanno celebrato sulle note di musica K-pop come "Into the New World" e "Supernova", divenute inni di protesta. La polizia, ben schierata per prevenire scontri, ha evitato violenze, ma la spaccatura nella società è palpabile. Già nelle settimane scorse i sondaggi di Gallup Korea e Realmeter avevano mostrato un Paese diviso a livello generazionale: gli over 60, che peraltro hanno fatto di YouTube una vera e propria piattaforma di opinione e approfondimento, sostengono che la legge marziale fosse necessaria; i giovani, spesso coinvolti in movimenti progressisti, vedono invece in Yoon una minaccia alla democrazia e il timore di un ritorno al passato.

Un passato che non passa

Non bisogna dimenticare che la Corea del Sud è una democrazia piuttosto giovane. Questo Paese nasce nel 1948 in modo formalmente democratico ma in realtà governato con pugno duro da Syngman Rhee. Dopo la sua caduta, una breve parentesi democratica viene spazzata via dal colpo di Stato del generale Park Chung-hee nel 1961. Park consolida il potere e nel 1971 dichiara lo stato di emergenza, inaugurando un’era di repressione mascherata da progresso. Quando nel 1979 Park viene assassinato, il generale Chun Doo-hwan prende il controllo del Paese. È però a Gwangju che la tensione, pochi mesi dopo, esplode: il 18 maggio 1980 gli studenti scendono in piazza chiedendo democrazia. Il regime risponde con una violenza brutale. Le forze speciali invadono la città e il 27 maggio un assalto finale crea la strage: le vittime sono centinaia, forse migliaia. Chun definisce i manifestanti “rivoltosi comunisti”, ma Gwangju diventa il cuore pulsante della resistenza democratica. Negli anni Ottanta, mentre l’economia cresce e i chaebol come Samsung e Hyundai si espandono, la voglia di libertà diventa incontenibile. Nel 1987, quando Chun tenta di imporre il suo successore tramite voto indiretto, milioni di cittadini riempiono le strade. La morte dello studente Lee Han-yeol accende la scintilla finale. L’iconico corteo al funerale di Lee e l’onda internazionale delle Olimpiadi di Seoul del 1988 spingono il governo ad accettare il cambio di passo: il 29 giugno Roh Tae-woo annuncia riforme che porteranno, nel 1992 con l’elezione di Kim Young-sam, alla definitiva conquista della democrazia.

Lo stallo delle democrazie asiatiche

Tuttavia, ancora oggi dietro l’immagine glamour della Corea del Sud — patria del K-pop, tecnologia avanzata e drama globali — si cela un disagio profondo, esacerbato da disuguaglianze economiche, conflitti generazionali e tensioni politiche. Ma questa crisi è tutt'altro che isolata. Anzi, in Asia si moltiplicano segnali di fragilità democratica che rischiano di compromettere gli equilibri geopolitici regionali e la stabilità dei principali alleati degli Stati Uniti. Nelle Filippine, ad esempio, il Senato ha recentemente avviato un’inchiesta sull’arresto dell’ex presidente Duterte e il suo possibile trasferimento alla Corte Penale Internazionale. Il contesto è infiammato dallo scontro tra Duterte e l’attuale presidente Marcos Jr., che coinvolge anche la vicepresidente (ed ex alleata) Sara Duterte, messa a febbraio sotto impeachment. In Giappone il consenso verso il governo del primo ministro Shigeru Ishiba è ai minimi storici a causa di un nuovo scandalo, legato a buoni regalo distribuiti ai parlamentari. Washington rischia di vedere indeboliti i suoi alleati chiave nell’Indo-Pacifico proprio mentre aumentano le pressioni geopolitiche da parte di Cina, Russia e Corea del Nord. Non aiuta il fatto che i dazi del presidente americano Donald Trump colpiranno in modo particolare la Corea del Sud e il Giappone in una serie di settori strategici come automotive, semiconduttori e farmaci. Se il prossimo presidente sudcoreano non sarà in grado di ristabilire l’ordine interno e rinsaldare il legame con Washington, rischia di aprirsi una fase di incertezza strategica. Specie in un'area sempre più strategica quanto conflittuale come l'Indo-Pacifico, sorvegliata speciale non solo degli Stati Uniti ma soprattutto della Cina.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

04 aprile 2025, 11:58
<Prec
Aprile 2025
LunMarMerGioVenSabDom
 123456
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930    
Succ>
Maggio 2025
LunMarMerGioVenSabDom
   1234
567891011
12131415161718
19202122232425
262728293031