Trump al Congresso rilancia il suo America first
Guglielmo Gallone - Città del Vaticano
Make, lead, protect. Fare, guidare, proteggere. Che tre indizi facciano una prova è ancor più vero quando si tratta di tre parole e quando a pronunciarle per svariate volte è il presidente statunitense in occasione del consueto discorso sullo stato dell’unione. Ieri, di fronte al Congresso, Donald Trump ha parlato per cento minuti — oltre ogni record — ribadendo innanzitutto la necessità di make America great again, ossia di “fare l’America di nuovo grande”. Il solito slogan, arricchito però di una componente tanto economica quanto politica: i dazi. Che, secondo Trump, servono a ridurre il surplus commerciale degli altri Paesi con gli Usa, a ripristinare posti di lavoro e a ridare ricchezza ai cittadini americani.
La questione dei dazi
Ambizioni per certi versi legittime, viste le differenze sulla bilancia commerciale tra Usa e resto del mondo o le restrizioni che tanti Paesi — tra cui India, Cina o Unione europea — già applicano ai prodotti statunitensi. Tuttavia, il timore, come evidenziato dal crollo delle borse di ieri, è duplice. I dazi non sono mirati a prodotti specifici, colpiscono indiscriminatamente beni che gli americani consumano — non solo tecnologici, ma pure alimentari — e che non saprebbero altrimenti come procurarsi, perciò potrebbero far lievitare il costo della vita negli Usa. Di riflesso, il secondo timore: una ripresa generalizzata dell’inflazione abbinata a un rallentamento dell’economia.
Il mito dell'età dell'oro
Incognite che lo stesso Trump ha riconosciuto che «ci saranno dei piccoli disordini», ma ha promesso di gestirli perché "questa sarà la nostra era più grande" e "guideremo questa nazione ancora più in alto". Ciò che ieri Trump ha chiesto agli americani è proprio questo: fidarsi e affidarsi. Ecco perché ha ribadito l’esigenza di invertire la rotta rispetto alla precedente amministrazione Biden — alimentando una divisione mai vista nel Congresso — e ha lanciato una serie di slogan: "I giorni del governo dei burocrati non eletti sono finiti", "abbiamo posto fine alla tirannia delle cosiddette politiche di diversità, equità e inclusione", "ho lanciato la più radicale repressione dei confini e dell'immigrazione nella storia americana" e "ho riportato la libertà di parola in America".
Poco spazio per la politica estera
Questo è il senso di protezione che gli elettori di Trump, non più solo bianchi operai, ma giovani, donne, afroamericani o ispanici, richiedono. Un verbo, "to protect", ripetuto da Trump 14 volte a un solo scopo: ridimensionare il ruolo degli Usa nel mondo perché, per concentrarsi nelle aree ritenute prioritarie, il Paese dev’essere saldo e coeso al suo interno. Poco spazio è stato dunque dato alla politica estera nel discorso di Trump, se non nella logica di sbrigarsi a risolvere i conflitti in corso — Ucraina e Gaza su tutti — traendone maggiori benefici possibili e ad allungare gli occhi su aree limitrofe quanto strategiche come Groenlandia e Panamá — dove il colosso Blackrock, ieri, ha comprato dai cinesi porti per 22,8 miliardi di dollari. Così il discorso alla nazione si è trasformato in un messaggio al mondo.
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