Il canale di Panama, snodo strategico al centro delle contese
Matteo Frascadore - Città del Vaticano
Un passaggio strategico per i commerci internazionali; una tecnologia all’avanguardia. Il canale di Panama, principale fonte di reddito per il Paese centroamericano, è al centro di una contesa tra Stati Uniti e Cina. Panama si trova nel mezzo, chiamato a contemperare interessi economici nazionali, nuove priorità degli Usa e gli accordi con Pechino.
Le mire di Trump
Insediatosi alla Casa Bianca per la seconda volta, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, riconoscendo già nel discorso inaugurale il forte peso dell’opera nel commercio mondiale, ha rivendicato l’autorità sul Canale lamentandosi degli eccessivi costi per il passaggio delle navi statunitensi, nonostante sia vigente una sorta di vantaggio prioritario per il commercio gestito da Washington. Trump si è anche lamentato del presunto controllo da parte di Pechino sul traffico navale che passa per il Canale di Panama. Fino al 1999 erano proprio gli Stati Uniti a controllare il Canale, considerato un vero gioiello ingegneristico. Dopodiché, il passaggio gestionale è passato definitivamente nelle mani di Panama a seguito di svariati avvicendamenti e diatribe che periodicamente tornano al centro dell’attenzione dei media. L’alta tecnologia fornita dal Canale permette alle navi di risparmiare molte ore di viaggio e carburante per passare dall’Oceano Atlantico al Pacifico. Gli ultimi anni alcune condizioni climatiche hanno portato delle complicanze a livello di siccità facendo diminuire il numero delle navi in transito.
Trump si rifà alla storia e al corso degli eventi per rivendicare il peso che la causa statunitense deve avere sul canale. In una delle uscite in cui ha parlato di questo, il presidente degli Usa ha anche minacciato l’utilizzo di forze militari salvo poi riconoscere la non necessarietà nell’impiego di truppe. Non è un caso, di conseguenza, che Trump abbia anche accusato Pechino di avere il controllo diretto del canale. «Noi lo abbiamo dato a Panamá, ma ora è dei cinesi», ha affermato in una conferenza.
Il ruolo della Cina e gli ultimi sviluppi
Gli ultimi avvicendamenti, tuttavia, confermano una situazione in mutamento. Dal 2017 Pechino ha avviato una serie di negoziati commerciali con Panamá, che aveva interrotto nello stesso anno i rapporti con Taiwan, per il controllo di due dei cinque porti adiacenti al Canale. Una mossa nell'ambito degli investimenti e progetti della Belt and Road Initiative, l’iniziativa cinese che nelle scorse settimane il presidente panamense José Raúl Mulino ha annunciato che non intende rinnovare.
La società cinese Hutchison Ports Holdings, tramite la sua quota in Panama Ports Company (Ppc), negli ultimi anni ha gestito il porto panamense a Balboa, situato sul lato Pacifico di Panama, e quello a Cristobal, che affaccia sull'Atlantico. La Hutchison Ports Holdings, quindi, negli ultimi tempi è stato il più grande operatore portuale della zona. Il 4 marzo, CK Hutchison ha annunciato di aver accettato di vendere alcune sue attività portuali a livello globale a un consorzio di investitori guidato da BlackRock, società di investimento con sede a New York, in un accordo valutato circa 23 miliardi di dollari. La stretta di mano è arrivata proprio dopo che l’amministrazione Trump ha minacciato di riprendere il controllo sul Canale, citando proprio la gestione di due porti di Panama da parte di CK Hutchison come prova del controllo cinese.
Uno scontro strategico
Il quotidiano cinese «Ta Kung Pao» ha definito la decisione di CK Hutchison di vendere le sue attività portuali globali a un consorzio guidato da BlackRock come un «atto di sottomissione e tradimento», sostenendo che l’azienda ha sacrificato gli interessi nazionali per i profitti. L’accordo risulta, tuttavia, essere un vantaggio per la società cinese Ck Hutchison, che ha convinto BlackRock a pagare ben oltre il valore dell’attività portuale. La società, precedentemente guidata dal miliardario di Hong Kong Li Ka-shing, ha dichiarato di aver ottenuto oltre 19 miliardi di dollari in contanti solo per l’operazione Panamá a fronte di un valore stimato di circa 10,5 miliardi di dollari.
Tuttavia, la celebrazione dell’accordo da parte di Trump come una vittoria per gli Usa in un suo discorso di qualche giorno fa potrebbe aver incoraggiato una reazione nazionalista da parte cinese. Sempre il quotidiano «Ta Kung Pao» ha definito l’accordo sul Canale di Panama un «atto di coercizione egemonica» ipotizzando che un Canale di Panama “americanizzato” aiuterebbe Washington a spese delle imprese cinesi. Una posizione che ha inevitabilmente confermato lo scontro strategico tra le due realtà.
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