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Un membro dell'M23 e alcuni giovani abitanti di Bukavu Un membro dell'M23 e alcuni giovani abitanti di Bukavu  (AFP or licensors)

RD Congo, l’ingresso dell’M23 a Bukavu tra disordini e saccheggi

L'avanzata dei ribelli nell'est della Repubblica Democratica del Congo: domenica scorsa hanno conquistato il capoluogo del Sud Kivu. Ai media vaticani, la testimonianza di una missionaria italiana nel Paese africano: «La gente non ne può più della violenza, riesce a mangiare solo una volta al giorno»

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Da quando a fine gennaio i ribelli dell’M23 hanno conquistato Goma, anche Bukavu ha vissuto «col fiato sempre più corto»: la popolazione ha trascorso 15 giorni sospesa nel vuoto, «con l’orecchio teso verso le notizie dal fronte», mentre si constatava che «l’avanzata continuava, nonostante gli appelli al cessate-il-fuoco e le esortazioni alla pace venuti da vari Paesi della regione e lo sforzo messo in atto dai vescovi e dai capi delle Chiese protestanti per proporre la via del dialogo». È la fotografia del capoluogo del Sud Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, resa ai media vaticani in forma anonima, per motivi di sicurezza, da una missionaria italiana a Bukavu. «Abbiamo vissuto giorni di disordine, venerdì e sabato scorsi, dovuti al fatto che le forze armate congolesi erano partite in direzione di Uvira e, ripiegando, hanno lasciato armi e munizioni sul terreno, che sono quindi diventate accessibili: alcuni ragazzi, anche molto giovani, e degli adulti si sono impossessati di queste armi, sparando in aria e saccheggiando negozi e depositi di beni di prima necessità», racconta la missionaria, facendo però notare come si tratti di «un fenomeno che constatiamo ripetersi anche in altri luoghi, dove si prepara l’arrivo di questi miliziani: prima ci sono giorni di disordini che permettono poi agli stessi miliziani di proporsi come liberatori, come coloro che mettono ordine. Viene quindi da chiedersi — aggiunge — se non si tratti di instabilità provocate appositamente, in modo che [i ribelli, ndr] possano essere accolti più facilmente dalla popolazione, che comunque non ne può più della violenza». In tale contesto peraltro l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha confermato casi di «esecuzioni sommarie di bambini da parte dell’M23» a Bukavu, in circostanze ancora da chiarire: secondo fonti dell’Onu almeno tre minori che avevano raccolto armi per strada sono stati uccisi nei giorni scorsi nel corso di tensioni con i ribelli, che avevano chiesto loro di consegnarle.

L'ingresso a Bukavu

Il gruppo armato M23, appoggiato dal Rwanda, ha preso Bukavu domenica scorsa. «Sono arrivati molto in fretta, sono entrati in fila, numerosi, dalla strada che porta da Goma a Bukavu. L’M23 — spiega la religiosa — non sta in piedi senza l’appoggio del Rwanda, certificato da tempo dall’Onu in almeno 4.000 militari». Da fine anni Novanta, quando in queste terre si consumò quella che alcuni analisti hanno chiamato la “prima guerra mondiale africana”, a causa del coinvolgimento degli eserciti di una decina di Paesi, «è sempre stato lo stesso copione: cioè un’insurrezione interna che dà il volto congolese all’impresa, con dietro però progetti regionali dei vicini assetati di terre e di minerali di questa nazione, tanto da parlare di un’occupazione». Senza dimenticare, aggiunge, «le complicità lontane, le radici internazionali» — al di là di quelle continentali — di questo conflitto. Migliaia di persone, «circa 10.000» riferisce la missionaria, hanno abbandonato la regione per ammassarsi nel vicino Burundi. «Il dramma di questa popolazione è di essere stata abbandonata dalla maggior parte delle autorità, da coloro che dovevano dare un orientamento, dire una parola su come vivere momenti così difficili. È successo a Goma, è successo qui. Da noi c’è stata solo la parola del nostro arcivescovo, monsignor François-Xavier Maroy Rusengo, che già nei giorni precedenti aveva chiesto alle persone di non fuggire e di non rispondere alla violenza con la stessa violenza». La gente, prosegue, nell’est della Repubblica Democratica del Congo sperimenta «questa incongruenza di essere dotata di una terra così ricca, dal punto di vista climatico, della produzione agricola, del sottosuolo e vivere in gran parte al di sotto della soglia di povertà. In città, mangiare una volta al giorno è la normalità per tantissime famiglie, che sono proprio al limite della sopravvivenza». A colpire, nei quartieri di Bukavu, sono però «i gesti di generosità: come è successo sempre durante la guerra, c’è chi sa che il vicino è particolarmente povero o anziano e porta da mangiare. O chi, come il personale degli ospedali, sta continuando ad assistere gli altri malgrado il rischio di girare per la città».

La vicinanza del Papa

Ma è specialmente nel disagio e nell’insicurezza che, assicura, si concretizza quella «grazia di poter condividere, almeno in parte, la situazione di questi giorni — è un dono: anche se ti senti impotente, ci sei — portando nel cuore la gente di Bukavu, con la preghiera». Proprio a quelle persone non è mancata in questi mesi la vicinanza del Pontefice, nemmeno domenica scorsa quando — già ricoverato al Gemelli — nel testo preparato per l’Angelus aveva invitato «a continuare a pregare per la pace» anche nel Kivu. «Sanno che il Papa è veramente qualcuno che li ama davvero: la popolazione vive un senso di sconforto e di delusione nei confronti dell’Occidente, ma non del Papa». D’altra parte a Bukavu risuonano ancora forti le parole pronunciate da Francesco due anni fa a Kinshasa: «Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa!».

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22 febbraio 2025, 10:15
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