Cutro, appello dei vescovi: non dimenticare quei poveri morti annegati
Vatican News
Una veglia di preghiera sulla spiaggia, un flash mob, una mostra fotografica, la celebrazione eucaristica nella chiesa del Santissimo Crocifisso, la visita del memoriale contenente i resti della tragedia e l’istallazione artistica intitolata “Per non dimenticare” dello scultore Antonio La Gamba. A Cutro, in provincia di Crotone, nella giornata del ricordo del naufragio che si consumò due anni fa a largo della frazione marina di Steccato e che costò la vita a 94 persone delle quali 35 bambini, sono state molte le iniziative per tenere viva la memoria di una ferita che ancora rimane aperta e sanguinante.
In gioco democrazia e civiltà
"Sulla questione dell’immigrazione ci stiamo giocando la democrazia, la civiltà. Stiamo riportando le lancette della storia ai momenti più bui. Si faccia verità su tutte le stragi, da Lampedusa a Cutro", ha detto durante la veglia monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio e vicepresidente della Conferenza Episcopale italiana.
Ascoltare le voci
Con un documento reso noto proprio oggi, i vescovi della Calabria hanno invitato a «non lasciare cadere l’oblio su quelle morti, come su tutte quelle avvenute nel Mediterraneo". Dal 2014, hanno scritto i presuli, le persone che hanno perso la vita nel Mare Nostrum "sono circa 23 mila ma il rischio è che perdano anche la voce: quella voce che siamo chiamati ad ascoltare, non solo per non dimenticarli, ma per non rendere vana la loro vita e la loro morte".
Nuovo sistema di soccorso
Anche l’Onu, tramite l’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) ha espresso la necessità di non cancellare dalla memoria collettiva quelle voci e ha ribadito "l’urgenza della creazione di un sistema strutturato ed efficace di ricerca e soccorso in mare, basato sul diritto internazionale, che preveda il coinvolgimento dell'Ue a supporto del lavoro vitale della Guardia costiera italiana".
In prima linea
In un colloquio con i media vaticani, Ramzi Libiki, volontario tunisino naturalizzato italiano - tra i coordinatori dell’Associazione Sabir che nei giorni della tragedia era in prima linea per i soccorsi e l’accoglienza delle vittime - rievoca il dolore dei familiari durante il riconoscimento dei corpi martoriati dalle onde e dagli scogli: "Nessuno potrà cancellare dalla mia mente le urla di una mamma che piangeva la perdita di tutti i suoi figli che viaggiavano con lei su quel maledetto barcone". Libiki ricorda anche che l’80% dei passeggeri di quella nave erano afgani che provenivano dalla città di Herat, ma c’erano anche palestinesi e siriani. "Noi volontari - conclude - fin dal primo momento ci siamo messi a disposizione non solo per aiutare a riconoscere le vittime ma anche per sostenere le famiglie come traduttori e mediatori culturali".
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