Giornata della Memoria, la storia del "ragazzino del tram" Emanuele
Marco Guerra - Città del Vaticano
Coltivare la memoria, in occasione della Giornata dedicata delle vittime della Shoah, permette di conoscere le persecuzioni, le deportazioni, gli orrori e le indicibili violenze che portarono allo sterminio di sei milioni di persone. "Nonostante tutto continuo a credere nell'intima bontà delle persone", scrive Anne Frank nelle ultime pagine del suo Diario. Una considerazione che ricorda come la luce del bene e della speranza può illuminare anche i frangenti più bui della storia. Non fa eccezione il rastrellamento del ghetto di Roma avvenuto il 16 ottobre del 1943, in seguito al quale oltre 1.200 ebrei furono deportati nei campi di concentramento tedeschi. Solo 15 uomini e una donna fecero ritorno a casa.
La caparbietà di una madre
Legata alle ore di quella terribile giornata è la testimonianza di Emanuele di Porto, ebreo romano, classe 1931, che in quel 16 ottobre fu protagonista di un drammatico intreccio fra tragedia e salvezza, dolore e altruismo. La vita di un adolescente scampato alla ferocia dei nazisti grazie alla forza e la caparbietà di una madre e il coraggio di un gruppo tranvieri. Incontriamo Emanuele, che resterà per sempre "il ragazzino del tram", nel quartiere ebraico di Roma. Scende dal suo appartamento di via della Reginella, lo stesso in cui, poco più di 81 anni fa, viveva con la madre il padre e altri sei fratelli. Appena dodicenne, all’alba di quella giornata, Emanuele vide sua mamma Virginia uscire di casa per avvertire il marito, al lavoro nella stazione Termini, che nel “ghetto” erano arrivati i tedeschi. Sulla strada del rientro, Virginia viene fermata in piazza Mattei e caricata su una camionetta dai nazisti. Emanuele vede la scena dalla finestra e d’istinto corre giù. “Nella mia testa pensavo di salvarla”, dice con gli occhi lucidi. Un soldato lo vede e fa salire sul camion anche lui, ma Virginia lo rimanda giù con uno spintone e poi riesce a convincere i militari che quel ragazzino non è un ebreo. Poi, con un ultimo gesto di altruismo, la giovane mamma di sei figli prende la tessera del pane, ci scrive sopra di consegnarla alla famiglia Di Porto e la getta dalla camionetta. Qualcuno, giorni dopo, porterà al marito il prezioso documento per l’approvvigionamento alimentare.
L’incontro con i tranvieri
Intanto Emanuele dopo il blitz dei nazisti inizia a camminare per uscire dal ghetto. Arriva in piazza Monte Savello dove all’epoca c’era il capolinea dei tram e sale sul primo mezzo che trova, la cosiddetta "circolare". “'Sono un ebreo, i tedeschi mi cercano', ho detto al bigliettaio che mi ha protetto e dato il suo pranzo”, racconta Emanuele dell’incontro con il primo tranviere in cui si imbatte, che poi lo lascia in “custodia” ai colleghi del turno successivo, una catena di solidarietà e coraggio durata due notti e tre giorni finché un altro ebreo tranviere non lo trova casualmente nel deposito della Prenestina e lo avvisa che suo padre e i suoi fratelli sono ancora vivi e lo stanno cercando. “Mi hanno salvato la vita rischiando la loro”, sottolinea Emanuele, che si definisce uno “che non mai stato bambino e che non sarà mai un vecchio”, perché nel suo cuore, il tempo s'è fermato.
Una vita senza odio e rancore
Emanuele Di Porto non ha mai coltivato il sentimento del rancore e sostiene di aver trovato “il buono e il cattivo dappertutto”. “Non provo odio - spiega - in realtà fino a pochi anni fa non mi ero nemmeno reso conto che la mia storia fosse importante. Se ci rifletto, sono stato solo fortunato ad aver incontrato persone giuste che mi hanno salvato la vita”. “Ho avuto una vita lunga e piena di soddisfazioni - prosegue - e l’esperienza mi fa credere che l’ignoranza e l’invidia siano tra le principali cause della cattiveria”. Prima concludere il suo racconto Emanuele invita tutti “a essere più buoni” e dedica un ultimo pensiero al sacrificio della madre che gli ha donato la vita per una seconda volta la mattina del 16 ottobre di quasi 82 anni fa. “Quando visitai il campo di concentramento di Birkenau la guida ci mostrò dove furono fatti scendere gli ebrei romani. Allora mia sorella disse che lì era morta mamma e recitammo un salmo assieme al rabbino”.
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