Sant’Agostino e il Natale, gioia per tutti
Antonio Tarallo – Città del Vaticano
«Egli giace in una mangiatoia, ma contiene l’universo intero; succhia da un seno, ma è il pane degli angeli; è avvolto in pochi panni, ma ci riveste dell’immortalità; viene allattato, ma viene adorato; non trova riparo in un albergo, ma si costruisce il tempio nel cuore dei suoi fedeli», così sant’Agostino nel suo Discorso 190. Del vescovo d’Ippona ci sono giunti, nella loro poetica prosa, diversi sermoni sul Santo Natale. Perle preziose, le parole che ci conducono all’essenza di ciò che viene celebrato il 25 dicembre: l’Incarnazione di Dio, questo il punto focale delle sue meditazioni. Il Verbo che dall’eternità in cui dimora, entra nel tempo, nella storia degli uomini: si fa carne e decide di abitare in una semplice «mangiatoia» in cui è possibile ritrovare «l’universo intero».
Nella mirabile umiltà si nascose la divinità
Agostino si sofferma, infatti, a meditare, approfondire in maniera quasi maniacale soprattutto i due versetti del prologo del Vangelo di Giovanni. Versetti che sembrano divenire il leitmotiv della vastissima produzione letteraria-esegetica riguardo il Natale: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (...) E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. E Agostino scrive: «Il giorno odierno ricorda l’Eterno nato dalla Vergine, poiché l’Eterno nato dalla Vergine consacrò il giorno odierno» (Discorso 188). L’odierno di cui parla non è limitato al suo odierno bensì diviene l’odierno degli uomini di tutti i tempi: così come quella umanità del Cristo che - oggi, come domani - è al centro della festa del Natale. Incarnazione che diviene sinonimo del mistero di salvezza per tutti gli uomini. Ed è importante per il vescovo d’Ippona - tanto da sottolinearlo più volte - che ciò avvenga grazie al «grembo di una sola donna» che «portava colui che i cieli non possono contenere. Maria sorreggeva il nostro re, portava colui nel quale siamo, allattava colui che è il nostro pane. Grande debolezza e mirabile umiltà, nella quale si nascose totalmente la divinità!» (Discorso 184).
Chi è umile è nella gioia
Umiltà, altra parola-chiave per comprendere il senso dell’Incarnazione. Nell’opera La vita cristiana scriverà: «Per curare la superbia, causa di tutti i mali, è disceso e si è fatto umile il Figlio di Dio. Dio si è fatto umile per te. Forse ti vergogni di imitare un umile uomo, imita almeno il Dio umile. È venuto il Figlio di Dio, è venuto in forma umana e si è fatto umile». È la via dell’umiltà, dunque, che permette all’uomo di prostrarsi, adorare, l’umile degli umili, Dio che diviene carne, «forma umana». Ma insieme all’umiltà è necessario citare un’altra parola: la gioia. Chi è umile è nella gioia e il Natale insegna proprio questa umiltà. Si tratta di una gioia “democratica”, così si definirebbe oggi, in quanto accessibile per tutti perché ognuno è chiamato a vivere, a gustare l’odierno giorno di festa. Così, nel Discorso 184: «Esultate, vergini consacrate: la Vergine vi ha partorito colui che potete sposare senza perdere l'integrità. Esultate, giusti: è il Natale di colui che giustifica. Esultate, deboli e malati: è il Natale del Salvatore. Esultate, prigionieri: è il Natale del Redentore. Esultate, schiavi: è il Natale del Signore. Esultate, liberi: è il Natale del Liberatore. Esultate, voi tutti cristiani: è il Natale di Cristo».
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