Padre Romanelli: "A Gaza un Natale difficile che ci fa tornare all'essenzialità"
Michele Raviart e Beatrice Guarrera - Città del Vaticano
«Qualche giorno fa Papa Leone XIV ci ha inviato un messaggio scritto, dicendo che prega sempre per noi e ci ringrazia per tutto quello che facciamo». A riferirlo è padre Gabriel Romanelli, parroco della Chiesa della Sacra Famiglia di Gaza, in un colloquio con i media vaticani. «Noi abbiamo ringraziato il Santo Padre — continua il sacerdote — per tutto quello che fa per la pace e per noi e lui ha dato la benedizione a tutti». Romanelli racconta così, con forte emozione, la gratitudine per la vicinanza della Chiesa, manifestata attraverso le comunicazioni con il Pontefice e attraverso la presenza fisica del patriarca di Gerusalemme dei Latini Pierbattista Pizzaballa, che ieri, domenica 21 ha concluso la sua visita pastorale di tre giorni nella Striscia. «È stata una visita molto commovente», spiega Romanelli, perché il cardinale Pizzaballa ha potuto incontrare ed ascoltare «come sempre» la piccola comunità cristiana locale.
Una messa di Natale in anticipo
Domenica il patriarca, prima di lasciare Gaza, ha presieduto una messa di Natale in anticipo, nella quale nove bambini hanno ricevuto la prima Comunione, mentre un altro piccolo fedele, di nome Marco, ha ricevuto il Battesimo. «È stata una bellissima celebrazione — racconta il parroco —. La gioia si è fatta sentire, come la speranza nel Salvatore e la speranza negli esseri umani», perché si arrivi a una fase due di questa tregua e possa giungere anche il tempo della ricostruzione. La parrocchia della Sacra Famiglia ha poi donato al cardinale Pizzaballa un dipinto del Cristo sofferente «da inviare a Papa Leone XIV, in segno di gratitudine per la sua vicinanza paterna e per il suo instancabile impegno per la pace» come riferito dal patriarcato.
Ancora grave la situazione umanitaria
Quello che si apre per i cristiani di Gaza «è un Natale difficile, che ci rimanda al Natale di duemila anni fa. Difficile come quello non è stato mai» sostiene il sacerdote, visto che Giuseppe dovette scappare con Gesù verso l’Egitto, «attraversando Gaza», secondo la tradizione. «Non è più difficile — continua Romanelli — di quello che ha sofferto e continua a soffrire Gesù lungo la storia». Nonostante a Gaza siano finiti i bombardamenti a tappeto, a volte «ancora si sentono le esplosioni, la terra trema, ma c’è più serenità nelle persone». C’è però «un’ansia» negli abitanti della Striscia nel constatare che manca il necessario per la sopravvivenza e per la vita quotidiana. Da una parte non c’è elettricità: «Viviamo con i generatori, bruciando qualsiasi cosa per generare un po’ di energia, grazie anche ai pochi pannelli solari. Però, la maggior parte delle persone, più di due milioni, vivono nelle tende, dove pure c’è bisogno di elettricità», osserva Romanelli.
Manifestare la fede attraverso atti di carità
Dall’altra parte, l’acqua potabile scarseggia, senza considerare la carenza di medicine e la situazione dei rifiuti: Gaza city, «è piena di spazzatura ovunque perché, per esempio, le zone di discariche che erano fuori città adesso non possono essere usate perché sono oltre la linea gialla», dove si trova l’esercito israeliano. In questo clima a Gaza ci si prepara a festeggiare il Natale. Nei giorni scorsi sono stati distribuiti piccoli doni agli abitanti del quartiere: uova, polli, coperte e vestiti, accolti con gioia in una realtà dove sono ancora tanti i bisogni. «È un Natale differente — conclude padre Romanelli — che ci fa tornare all’essenzialità», «manifestando la nostra fede attraverso atti concreti di carità».
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