Taybeh, nuovi attacchi dei coloni. Il parroco: “La paura non toglie la speranza"
Beatrice Guarrera - Città del Vaticano
Due auto in fiamme, una scritta minacciosa e di nuovo la paura: è il risultato dell’ennesimo attacco dei coloni israeliani, compiuto nella notte tra giovedì 4 e venerdì 5 dicembre a Taybeh, villaggio interamente abitato da cristiani al nord della Cisgiordania, nello Stato di Palestina. L’episodio è avvenuto nelle ore immediatamente successive all’inaugurazione del presepe e delle iniziative natalizie nella parrocchia latina del Cristo Redentore.
La vicinanza della Chiesa
«Ho fatto subito visita a casa della famiglia colpita dall’attacco», afferma padre Bashar Fawadleh, parroco della chiesa latina di Taybeh, spiegando che si tratta di una famiglia di parrocchiani. «Mi hanno ringraziato e mi hanno detto — continua il sacerdote — che apprezzano quello che la Chiesa sta facendo a Taybeh. Allo stesso tempo c’è bisogno di sempre più pressione da parte della Chiesa: dobbiamo salvare la nostra gente, il nostro Paese, perché Taybeh è l’ultimo villaggio cristiano della zona. Abbiamo bisogno che questa città continui a vivere. E abbiamo bisogno quindi della collaborazione delle persone di tutto il mondo». Padre Fawadleh sottolinea che il bilancio dell’attacco, il sesto del 2025 nella città, è ancora riferito solo a danni materiali: «Siamo stati fortunati», perché non ci sono stati morti e «poi c’erano molte persone nella zona» che sono arrivate in tempo per spegnere l’incendio.
Dopo la festa, la violenza
Solo il giorno precedente, nella serata di giovedì 4 dicembre, Taybeh si erano illuminata di gioia e riempita dello spirito delle feste natalizie nella cerimonia di inaugurazione delle «Notti di Natale», alla quale avevano partecipato anche diplomatici delle otto nazioni legate storicamente alla Terra Santa e persone da tutta la zona, da Ramallah e Gerusalemme. Poi, dopo la mezzanotte, di nuovo la violenza da parte dei coloni. Al momento si registrano danni alle auto e alle strutture vicine, oltre a scritte che sembrano assumere un tono minaccioso, apparse sul muro di una casa di pacifici abitanti dello Stato di Palestina. Sono scritte che «i coloni usano sempre contro la nostra gente, non solo a Taybeh, ma in tutta la Cisgiordania», afferma il sacerdote. Nonostante tutto questo, «Noi siamo ancora qui e continueremo la nostra vita qui — sostiene padre Fawadleh —. Non ci sentiamo al sicuro, ma continuiamo la nostra vita. Dobbiamo continuare a festeggiare il Natale».
Una speranza che non si spegne
La conseguenza di nuovi attacchi però è sempre il moltiplicarsi della paura e, così, «di nuovo molti pensano a lasciare il Paese», spiega il parroco. L’obiettivo è dunque quello di attirare l’attenzione internazionale e cercare tutte le possibilità di intervenire a livello diplomatico ed ecclesiale: «Dobbiamo fare di più — continua — non solo per Taybeh, ma per tutte le zone a est di Ramallah, sotto attacco continuamente, ogni giorno». «La nostra speranza rimane. Quando abbiamo più attacchi, abbiamo più speranza. Non può arrestarsi nel nostro cuore, perché la nostra speranza è quella del terzo giorno, della tomba vuota: la speranza della risurrezione di Gesù Cristo che ci darà una nuova vita».
1.680 attacchi da inizio anno
Dall’inizio dell’anno sono 1.680 gli attacchi documentati dall’Onu da parte di coloni israeliani in oltre 270 comunità del territorio palestinese: una media di cinque incidenti al giorno. Lo riferisce un rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), focalizzato sulla situazione umanitaria in Cisgiordania. La raccolta delle olive continua a essere caratterizzata da una diffusa violenza dei coloni: 178 attacchi sono stati registrati a ottobre e novembre in 88 comunità.
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