Rovine nell'area archeologica confiscata a Sebastia (foto: Pro Terra Sancta) Rovine nell'area archeologica confiscata a Sebastia (foto: Pro Terra Sancta)

Palestina, l'impatto sulle famiglie delle confische israeliane a Sebastia

La denuncia di Pro Terra Sancta, network che opera a sostengo della popolazione locale in Medio Oriente dove sono presenti i frati della Custodia di Terra Santa: "Sosteniamo ogni iniziativa pacifica volta alla difesa della terra, della storia e della dignità di un territorio profondamente ferito, ma ancora capace di testimoniare una convivenza possibile"

Beatrice Guarrera - Città del Vaticano

"Profonda preoccupazione" per la recente confisca di un ampio territorio a Sebastia, villaggio a nord dello Stato di Palestina: è quanto ha espresso in una nota Pro Terra Sancta, network che promuove progetti di valorizzazione del patrimonio culturale a sostegno delle comunità locali in Medio Oriente, lì dove sono presenti i frati francescani della Custodia di Terra Santa. 

Terreni agricoli, case e aree archeologiche

La porzione di territorio espropriata da Israele è pari a circa 260 campi da calcio - 1.800 dunum - un'area che comprende terre private, terreni agricoli, case e parti di un noto sito archeologico. "Si tratta di un provvedimento di vasta portata che incide direttamente sulla vita delle famiglie locali e sull’integrità di un patrimonio storico e culturale unico", scrive Pro Terra Sancta. La città ospita importanti rovine risalenti a tempi biblici, romani, bizantini, musulmani e ottomani. Dunque lo stesso sito archeologico è parte integrante del villaggio, delle sue tradizioni e della sua economia, fondata in larga parte sugli uliveti ora a rischio. "Separare l’area archeologica dal tessuto urbano e agricolo - sostiene l'ong - significa spezzare un legame secolare e privare centinaia di famiglie della loro principale fonte di sostentamento, compromettendo anche le esperienze di turismo comunitario sviluppate negli ultimi anni".

Confische in Area B

Una parte significativa delle terre confiscate si trova in Area B (secondo la classificazione degli accordi di Oslo), dove la popolazione palestinese ha sviluppato la propria vita civile, costruendo abitazioni, coltivando gli ulivi e cercando di preservare una quotidianità dignitosa, nonostante la crescente frammentazione del territorio, a causa dell'insorgere di sempre nuovi insediamenti israeliani. Tra le aree colpite figura anche l’unico spazio ricettivo accessibile del villaggio, con due stanze – una delle quali attrezzata per persone in carrozzina – che ora rischiano la demolizione, insieme alle proprietà di numerose famiglie. Lo spazio era stato realizzato, con tanta fatica e cura, da Pro Terra Sancta, insieme a un partner locale, il Mosaic Centre.

Parte dell'area archeologica di Sebastia imbrattata da graffiti
Parte dell'area archeologica di Sebastia imbrattata da graffiti

La testimonianza di un abitante locale

"Lavoro nella guesthouse del Mosaic Centre a Sebastia e, insieme alla mia famiglia, vivo di queste terre", racconta Shady Al-Shaer, un abitante locale. "La decisione di confiscare circa 1.800 dunum impedisce a molti di noi di raggiungere e coltivare i propri campi. In queste aree ci sono ulivi che le nostre famiglie curano da generazioni: sono alberi da cui dipende il nostro sostentamento quotidiano, eredità dei nostri padri e dei nostri nonni. Perderli significa perdere una parte della nostra storia e della nostra identità, oltre che la principale fonte di reddito". A turbare la quiete del villaggio sono anche le incursioni militari israeliane sempre più frequenti: "Le forze di occupazione - sostiene Shady - entrano nel paese quasi ogni giorno. Ogni incursione porta panico e paura: i negozi devono chiudere, la vita si ferma, le famiglie fanno fatica persino a procurarsi i generi alimentari di base. I nostri bambini avrebbero diritto di giocare e di praticare sport come tutti gli altri, ma spesso siamo costretti ad annullare o rimandare le attività perché restiamo per ore ad aspettare che i soldati se ne vadano". Questo, dunque, genera una grande insicurezza nei più piccoli e segna profondamente la loro crescita. Da lì l'appello: "Vogliamo vivere su questa terra in pace, come tutti i popoli del mondo. Chiediamo solo di poter continuare a coltivare le nostre terre" e "di poter crescere i nostri figli qui, nel nostro villaggio, senza paura", conclude Shady.

Un villaggio vivo

Da quasi vent’anni Pro Terra Sancta opera a Sebastia in collaborazione con il Mosaic Centre e le istituzioni locali per valorizzare il sito archeologico, attraverso il coinvolgimento diretto dei locali. Oggi più che mai, dunque, Pro Terra Sancta ribadisce la propria disponibilità a sostenere la comunità "in ogni iniziativa pacifica volta alla difesa della terra, della storia e della dignità di un territorio profondamente ferito, ma ancora capace di testimoniare una convivenza possibile". "Sebastia è di tutti: non è solo un sito archeologico - continua il comunicato - è un villaggio vivo, fatto di famiglie, bambini, uliveti, memorie condivise da cristiani e musulmani". Davanti alla possibilità di vedere spazzate via case private, piccoli esercizi commerciali, una guesthouse, condannando molte famiglie a una precarietà ancora più grande di quella esistente, Pro Terra Sancta lancia un appello: "Chiediamo alla società civile italiana – associazioni, parrocchie, scuole, amministrazioni locali e singoli cittadini – di unirsi a noi nella difesa della dignità e dei diritti di Sebastia".  L'obiettivo è quello di sensibilizzare e promuovere iniziative concrete per sostenere la popolazione sofferente. "La credibilità dei richiami al diritto e ai diritti umani - conclude l'ong - passa anche da villaggi come Sebastia, che non possono essere lasciati soli".

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10 dicembre 2025, 15:08