India, accolto il ricorso dei vescovi contro la legge anti-conversione in Rajasthan
Giovanni Zavatta - Città del Vaticano
La Corte suprema dell’India, attraverso l’emissione di un avviso, ha chiesto al governo dello Stato di Rajasthan di presentare una risposta formale al ricorso depositato dalla Catholic Bishops’ Conference of India (Cbci) che contesta la costituzionalità di alcune disposizioni del Rajasthan Prohibition of Unlawful Conversion Religion Act 2025. I giudici sollecitano in pratica chiarimenti al governo locale sulle proprie scelte legislative. La questione — si legge nel sito internet della Cbci — è stata discussa l’8 dicembre davanti al collegio dei giudici Dipankar Datta e George Augustine Masih e si è conclusa con l’emissione di una notifica allo Stato del Rajasthan. Ciò segna «un importante passo procedurale nell’avanzamento del caso». Padre Mathew Koyickal, vice segretario generale della Conferenza episcopale, ha dichiarato che i vescovi hanno accolto con favore la decisione e continuano a sperare affinché «la giustizia prevalga nella salvaguardia dei diritti e delle libertà garantiti dalla Costituzione indiana».
Poteri "eccessivi e arbitrari"
Secondo la Cbci, il Rajasthan Prohibition of Unlawful Conversion Religion Act violerebbe diversi passaggi costituzionali attribuendo alle autorità amministrative poteri «eccessivi e arbitrari», come quelli di confiscare e anche demolire — senza alcun avallo giurisprudenziale — proprietà private presumibilmente collegate a una “conversione illegittima”, violando gli articoli sull’uguaglianza davanti alla legge, sul diritto alla vita e alla libertà personale, sulle garanzie procedurali in caso di arresto/detenzione, e sul diritto di proprietà. Si tratta, per i vescovi, di un meccanismo che lede il principio del giusto processo e apre la strada ad abusi basati su semplici sospetti. Nella formulazione della legge si parla di “adescamento”, “informazioni ingannevoli” e “qualsiasi altro mezzo fraudolento”: espressioni troppo vaghe che «rischiano di colpire scelte religiose genuine o normali attività pastorali». In pratica, «atti ordinari di fede, carità o missione come beneficenza, istruzione gratuita o gestione di orfanotrofi — viene osservato dalla Conferenza episcopale — potrebbero essere interpretati come coercizione» tesa alla conversione religiosa. La legge fra l’altro richiede ai singoli individui di informare il magistrato distrettuale prima di convertirsi e che la conversione venga poi esposta pubblicamente sulla bacheca del magistrato, circostanza che mina le libertà personali garantite dalla Costituzione.
I ricorsi
Oltre a quello della Conferenza episcopale, sono stati presentati ricorsi da parte di associazioni cattoliche e della società civile. Al riguardo il procuratore generale Tushar Mehta ha informato la Corte che sono già in esame diverse petizioni riguardanti leggi simili emanate dagli stati di Uttarakhand, Himachal Pradesh, Madhya Pradesh, Gujarat e Uttar Pradesh. Rilevando che queste leggi presentano caratteristiche identiche, la Corte suprema ha disposto che la presente questione fosse trattata congiuntamente. Nel 2024 erano stati gli stessi giudici della Corte suprema a indicare che alcune disposizioni di un’analoga legge in Uttar Pradesh apparivano «incoerenti» con l’articolo 25 della Costituzione indiana che tutela la libertà di religione. Nel 2022 era stata invece l’Alta Corte del Madhya Pradesh a sospendere l’azione coercitiva ai sensi dell’articolo 10 del Freedom of Religion Act dello Stato, ritenendola “prima facie” incostituzionale. E nel 2021 l’Alta Corte del Gujarat aveva ritenuto che il Freedom of Religion (Amendment) Act interferisse con la scelta personale del matrimonio, violando l'articolo 21.
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