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I vescovi italiani denunciano l'aumento del livello di conflittualità e la corsa al riarmo I vescovi italiani denunciano l'aumento del livello di conflittualità e la corsa al riarmo

Cei: il bisogno di difendersi non deve contribuire al riarmo globale

In una nota pastorale, la Conferenze episcopale italiana richiama alla necessità di formare le coscienze per uscire dalla logica della guerra. I vescovi indicano il rischio di una escalation nucleare, la drammatica crescita di antisemitismo, islamofobia e cristianofobia, il dilagare dei nazionalismi e definiscono "contraddittorie" le "proposte di pesanti investimenti sul piano degli armamenti e delle tecnologie militari che hanno fatto seguito all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia"

Giovanni Zavatta – Città del Vaticano

La regola della pace ha bisogno, per sopravvivere e perpetuarsi, di un esercizio quotidiano globale che attraversi i periodi della storia e le generazioni educandole al dialogo, al rispetto reciproco, alla cura dell’altro, alla pratica della misericordia, alla fraternità vissuta, al rifiuto della violenza. Impararla e rispettarla, la regola della pace, è «un lungo percorso, sfida complessa, impegno che tocca molte dimensioni della vita personale e sociale e che chiede un discernimento attento». E per un cristiano «la radicalità dell’annuncio evangelico va presa sul serio: la chiamata a essere operatori di pace deve farsi storia e vita delle comunità». La situazione attuale segnata da numerosi conflitti, dall’atrocità della guerra, dal grido di vittime innocenti, da una logica delle armi che sembra offuscare il lume della ragione, ha spinto la Conferenza episcopale italiana a elaborare una lunga nota pastorale (34 pagine) per «riscoprire la centralità di Cristo “nostra pace” in ogni annuncio e impegno per promuovere la riconciliazione e la concordia», come scrive nella presentazione il cardinale presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi.

L’erosione della speranza

Il documento — diffuso oggi 5 dicembre e intitolato Educare a una pace disarmata e disarmante — è un invito a iscriversi alla scuola della pace ovvero alla scuola della Parola di salvezza e della dottrina sociale della Chiesa. Parlare di pace oggi è «davvero difficile», anche perché vi sono «elementi di drammatica novità». La nota sottolinea che «è cresciuto il livello di conflittualità tra le grandi potenze del pianeta, facendo persino balenare talvolta il rischio di escalation nucleare: un fattore di angoscia che erode la speranza», specialmente dei giovani. È inoltre aumentata «a una velocità inedita la spesa militare, che secondo il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) ha superato nel 2024 il livello record di 2700 miliardi di dollari»: una dinamica che «distoglie risorse alla costruzione di un mondo abitabile, libero dalla fame e orientato a uno sviluppo davvero umano, contribuendo invece al degrado ambientale, anche con le emissioni climalteranti».

Abbandonare il riarmo

Al tema della produzione e del commercio di armi i vescovi italiani dedicano vari passaggi del documento. Educare alla pace significa infatti anche prendere le distanze da quelle realtà economiche che speculano sul riarmo, le quali «sostenendo gli acquisti di titoli azionari dell’industria militare contribuiscono all’economia di guerra e indirizzano, seppur inconsapevolmente, l’impegno militare da parte dei governi». E riferendosi all’Unione europea, esortata a riprendere il cammino di coloro che dopo la seconda guerra mondiale «scelsero con coraggio una via di pace da costruire insieme», la Cei definisce «contraddittorie» — rispetto a un orizzonte di armonia e concordia — «quelle proposte di pesanti investimenti sul piano degli armamenti e delle tecnologie militari che hanno fatto seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Le necessità della difesa non devono diventare occasione per contribuire al riarmo globale di questi anni, distraendo risorse dalla costruzione di una comunità più umana», ammonisce. Altra esigenza è quella di rafforzare la normativa in materia, in modo da impedire o limitare che i manufatti bellici vengano esportati in Paesi impegnati in conflitti. Al riguardo l’Ue (anche in considerazione del piano ReArm Europe) viene invitata a «sostenere la costituzione di un’agenzia unica per il controllo dell’industria militare interna e del commercio di armi con il resto del mondo».

Nazionalismi e discriminazioni

La crisi dell’ordine internazionale, si legge nel testo, «ha favorito il dilagare dei nazionalismi, in varie regioni del mondo, in forme diverse» ma accomunate «dal richiamo a una presunta identità univoca del popolo: l’ordine giuridico dello Stato diviene strumento per affermare il carattere culturalmente omogeneo della nazione, tutelando solo i diritti di chi le appartiene. Anche la religione – afferma la Cei – viene spesso strumentalizzata dai nazionalismi che la riducono a carattere distintivo di un popolo, a elemento che lo separa dagli altri, definendone tradizioni e pratiche identitarie». I nazionalismi «trovano consenso soprattutto nelle componenti della società più esposte alla crisi politico-economica, sensibili a riletture della storia che evocano una presunta età dell’oro per promettere prosperità a chi difende l’identità. Si giustificano così l’ostilità verso stranieri, minoranze religiose, diversi orientamenti sessuali, diverse convinzioni politiche». L’aumento degli episodi di antisemitismo, islamofobia e cristianofobia è diretta conseguenza di queste ideologie perverse.

Creare una politica di pace

Forte, nella nota pastorale, è il richiamo a una «politica di pace» (citati Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti) che faccia da esempio, guidata da una logica democratica e dalla ricerca del bene comune. E spetta alla Chiesa, alle famiglie, alla scuola, alla società civile, creare “case di pace” dove crescere la cultura della non violenza e uno stile di vita che mostri con orgoglio «l’aver scelto la pace come regola».

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05 dicembre 2025, 13:13