Madagascar, la Chiesa in preghiera per la pace
Federico Piana- Città del Vaticano
«Fermate la violenza, fermate, l’odio, fermate la vendetta». Non c’è tv, social, radio che in Madagascar, in queste ore, non rilanci la disperazione con la quale il cardinale Désiré Tsarahazana sta implorando alla sua gente di trovare il modo di imboccare la strada della pace. Con un accorato appello, l’arcivescovo di Toamasina, ha chiesto alla polizia di fermare la repressione dei confronti delle migliaia di giovani che stanno manifestando da molti giorni contro governo e corruzione e ha invitato i ragazzi e le ragazze scesi in piazza ad evitare saccheggi e provocazioni. «In questo momento così difficile, dobbiamo avvicinarci sempre di più al Signore. E dobbiamo liberare il nostro cuore dall’attaccamento al denaro che distrugge la nostra vita»
Parole vane
Parole per ora cadute nel vuoto se si tiene conto del fatto che ieri ad Antananarivo, capitale del paese, è andato in scena un copione ormai consolidato da diverse settimane: oltre mille giovani del movimento “Generazione Z” hanno invaso le strade della capitale malgascia al grido di «dimissioni, dimissioni» nei confronti del presidente, Andry Rajoelina.
Dura repressione
Come ormai da prassi, la reazione della polizia è stata estremamente dura: per disperdere la folla sono stati usati gas lacrimogeni e perfino proiettili e granate stordenti.«Alcuni video girati dai manifestanti mostrano anche diversi agenti che afferrano una ragazza e le danno fuoco ai capelli. Ma si vedono anche altri poliziotti che feriscono a colpi di bastone, senza pietà» denuncia ai media vaticani monsignor Rosario Saro Vella, vescovo della diocesi di Moramanga. «Posso dirlo con certezza: tutto sta degenerando, sta diventando sempre più grave».
Rischio guerra civile
Che forse la situazione sia letteralmente sfuggita di mano lo dimostra la celerità con la quale, ieri, l’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani è tornato, per la seconda volta in poco tempo, a condannare l’uso sproporzionato della forza da parte del governo e a chiedere il rispetto dei diritti di libera associazione e di riunione pacifica. Ma ad incutere timore per il futuro c’è anche un altro dettaglio, esplosivo, che si nasconde nelle recenti esternazioni di alcuni esponenti di spicco dell’esercito e della polizia che lascerebbero intendere una spaccatura istituzionale molto profonda. Preludio per il possibile scoppio di una guerra civile. «Molti di loro — rivela monsignor Vella — dicono: non siamo d’accordo con quello che stanno facendo i politici. E ci dissociamo anche dal comportamento di molti nostri colleghi gendarmi che stanno obbedendo ciecamente agli ordini che calpestano i diritti del popolo».
Chiesa mediatrice
La mediazione della Chiesa locale, che fin dall’inizio si è proposta per il complesso ruolo di pacificatrice, rimane difficile anche perché sia il popolo che il governo fanno fatica a trovare un comune terreno di dialogo. La gente, ammette il vescovo di Moramanga, è stanca di promesse non mantenute, è disgustata per non vedere risolti i problemi sociali e politici che da tempo l’affliggono. «La nostra comunità ecclesiale è sempre stata vicino alla popolazione perché ne comprende fino in fondo tutte le difficoltà, tutte le necessità. Nel rispetto dei ruoli e delle funzioni, la Conferenza episcopale rimane positivamente critica nei confronti del governo. Ma finora tutto questo non è servito».
Santo Rosario, via per la pace
Davanti all’impossibilità di far sedere intorno ad un tavolo le controparti sempre più belligeranti, i vescovi hanno deciso di indire per la giornata di oggi una mobilitazione fatta di preghiere e digiuno, «Abbiamo esortato tutte le persone di buona volontà, in particolare i cattolici, a rivolgersi alla Madonna affinché ci doni la pace. E la via migliore, più sicura, è la recita del Santo Rosario, orazione di popolo che Leone XIV ci ha indicato per questo mese di ottobre tradizionalmente dedicato alla Vergine», spiega monsignor Vella
Chiedere perdono
La dimensione che tutte le diocesi hanno usato per organizzare questo grande evento è stata quella della fantasia unita alla spontaneità. Alcune comunità hanno optato per una celebrazione penitenziale, altre hanno deciso di scendere in strada con una processione fatta di canti liturgici e orazioni, le scuole cattoliche si sono fermate per un momento di riflessione e meditazione. Senza dimenticare il digiuno che monsignor Vella annovera tra gli strumenti efficaci per «chiedere al Signore perdono per le colpe di tutti. Anche per quelle di chi ha scelto la violenza come via per far rispettare l’ordine o affermare i propri, giusti, diritti».
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