Francesco d’Assisi, il messaggero di pace universale
Simone Caleffi - Città del Vaticano
Anche il più distratto dei turisti, visitando il quartiere romano Eur e, in particolare, passando dal cosiddetto “Colosseo Quadrato”, ovvero il Palazzo della Civiltà Italiana, non potrà non notare la frase incisa a lettere cubitali sulla sua sommità: "Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori". Tale motto avrebbe l’ardire di celebrare la grandezza della cultura italiana ed è scolpita nel travertino romano sulle facciate dell'edificio.
Francesco, tra debolezza e fede
Non si sa veramente quale sia la categoria che rappresenti di più l’Italiano nel mondo, ma sicuramente l’Italia conta non pochi santi. Fra essi, indubbiamente, uno dei più amati è Francesco d’Assisi, di cui si dice che sia "il più santo degli italiani e il più italiano dei santi". Questa definizione, attribuita a Papa Pio XII, celebra il Poverello d’Assisi. Certamente, egli è stato uno dei primi a scrivere in volgare. Chi, a scuola, non ha studiato il “Cantico delle Creature”, considerato, appunto, un testo fondamentale per la lingua italiana? Tuttavia, Francesco non nasce così, non nasce santo. Se tutti nascono santi per vocazione, santi in potenza, non tutti lo diventano. Francesco era nato Giovanni, detto Francesco, a causa di Monna Pica, la madre, proveniente dalla Francia. Francesco era un giovane come i giovani del suo tempo, forse anche peggiore. Amava la guerra, ma era troppo debole per risultarne vincitore. Ne ha fatto le spese con le battaglie che insanguinavano l’Italia e che si combattevano contrada contro contrada, città contro città. E ha scoperto, tuttavia, che poteva essere forte, proprio perché debole, grazie all’incontro con Dio, e nel suo Figlio, con la celebre locuzione del Crocifisso di San Damiano, e nel prossimo, con l’impressionante bacio al lebbroso.
Dall’uomo al santo
Da quel momento Francesco non è più Francesco. Cambia talmente tanto che la leggenda narra che i suoi amici rivolgendosi a Chiara, le chiedano conto del suo amico: “E’ diventato matto?”. Lei risponde: “Secondo me era matto prima”. Non a caso sarà la prima delle clarisse, dopo i primi frati minori che seguiranno il figlio di Pietro di Bernardone sulla via della perfetta letizia, mediante il servizio a “Madonna povertà”. Da dove l’aveva presa una tale povertà? A quale mistero s’ispirava? Se si è inventato il presepe, si direbbe all’incarnazione del Verbo. In quella notte del primo Natale, è risuonato per tutta la terra il messaggio di una pace superna: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Francesco aveva capito che la Natività non era solo un messaggio da contemplare ma un impegno da vivere.
Dalla guerra alla fraternità
E dall’esperienza della guerra dalla quale era partito, ha – invece – iniziato a diffondere un messaggio di pace, di amore e di perdono: fratelli tutti. Non solo gli uomini fra loro, ma anche con tutte le altre creature. La guerra porta con sé, oltre allo squilibrio umano della violenza e della morte, anche una devastazione cosmica, che rompe l’armonia creazionale della prima pagina della Scrittura. Francesco loda Dio per ogni realtà che da lui viene, infine anche per la morte corporale che sta per raggiungerlo. È, infatti, solo una sorella. E chi avrebbe paura di una sorella? L’Italia che dall’anno prossimo si fermerà ogni quattro ottobre per celebrarne la festa, impari da Francesco a considerare ogni uomo e donna, ogni cosa anche dolorosa dell’esperienza umana, fratello e sorella, non da respingere ma da abbracciare.
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