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Il Covid portò via don Paolo, amici e famiglia fanno fiorire i suoi progetti di accoglienza

Tra le prime vittime della pandemia ci fu a Piacenza don Camminati, giovane parroco di Nostra Signora di Lourdes, riferimento importante per la zona. Da una sua intuizione profetica, la comunità si è data da fare per realizzare una casa per lavoratori precari nella zona della logistica. Un'opera segno che si sta rivelando volano di generosità da parte della cittadinanza. Don Lusignani: "In un tempo in cui tutto sembrava finire, qui invece cominciava qualcosa"

Antonella Palermo - Città del Vaticano

"Perché non sistemare la vecchia canonica perché possa diventare un luogo costante di accoglienza di persone in difficoltà?". Era il 19 marzo 2019. Don Paolo Camminati, allora parroco di Nostra Signora di Lourdes a Piacenza, lanciava la sua proposta-provocazione al Consiglio pastorale parrocchiale. Un tempo lungo di riflessioni, ripensamenti, responsabilità, intuizioni e finalmente il progetto veniva presentato alla città il 20 febbraio 2020. Nessuno avrebbe immaginato che quel giorno sarebbe stato l’ultima occasione per la famiglia di vedere Paolo. Qualche linea di febbre, una forte tosse: "Ma niente di che, mi passerà", diceva. Un mese dopo se ne andò a causa di quello che si sarebbe manifestato come il virus fatale Covid-19. Una delle prime vittime in Italia. Tanto manca la presenza di un giovane prete benvoluto da tutti, vitale, attaccato al Vangelo, discreto. Ma quel sogno ora esiste, ne ha tirati in ballo altri, e con esso rivive anche lui, grazie all'impegno di una comunità unita, laboriosa, generosa. 

Dall'intuizione di un'accoglienza, un progetto condiviso

"C’è voluto il contributo di tutti e di ciascuno", raccontano i familiari più stretti di don Paolo, la sorella Elena, con i suoi figli Anna Sara e Alessandro GroppiSi sono messi a disposizione della parrocchia alcuni volontari, si sono formati per essere di aiuto, la Caritas diocesana ha seguito da vicino il percorso inedito di questa parrocchia, la diocesi di Piacenza-Bobbio ha fatto altrettanto. E poi la Fondazione di Piacenza e Vigevano, la Fondazione BNL, Credit Agricole, Rotary Farnese e Confindustria. Migliaia di singoli cittadini, singole imprese hanno fatto rete attorno a quello che si sta rivelando un volano di bene. La Casa Accoglienza ha aperto le sue porte il 6 novembre 2021. I beneficiari sono lavoratori precari, la cui sorte tanto stava a cuore a don Paolo. Sono coloro che hanno un lavoro ma per le condizioni di quello stesso lavoro non possono permettersi una casa: contratti brevi della durata addirittura di tre giorni, orari impossibili, spostamenti impossibili. Sono per lo più stranieri ma anche italiani. In una ventina finora sono stati ospitati in quelle quattro mura che, ricordano ancora i fratelli e nipoti, sanno ancora tanto del sacerdote. In un video realizzato proprio dai parrocchiani, e che ritrae anche alcuni ospiti ed operatori, si vede che non sono proprio solo quattro mura: gli spazi sono semplici ma è tutto nuovissimo, curato. Qui il tempo di permanenza è al massimo di diciotto mesi, periodo entro il quale gli utenti devono aver raggiunto una autonomia di lavoro e di residenza propria. "E quasi tutti ce l’hanno fatta".

Un'opera segno per la cittadinanza

Un respiro che è diventato repentinamente e inesorabilmente affannoso, quello di Paolo. Un respiro che a tanti è venuto quasi a mancare, nelle avventure di trasferimenti sfibranti, rifugi indecorosi. Ora queste persone accolte nella ex-canonica respirano nuovamente. E così anche don Paolo in qualche modo respira: "È il cuore che rimane nelle cose che hai fatto, che sei stato, nelle persone che hai conosciuto, nelle esperienze che hai vissuto, nelle parole che hai detto, nelle canzoni che hai cantato. Anche, perché no, nelle barzellette che hai raccontato". Perché Paolo Camminati era proprio un ragazzo in cui fede e vita si integravano giorno per giorno con meraviglia e allegria, senza troppi riflettori addosso. Anzi. Un Vangelo parlante che davvero sta insegnando uno stile "diverso". "E da Paolo che ha fatto del Vangelo la sua vita cosa dobbiamo imparare se non questo? La sua comunità parrocchiale ha fatto proprio il suo stile di accoglienza promuovente, saggia, liberante". La Casa è così un’opera-segno che sta interpellando anche le amministrazioni e la cittadinanza, tanto che alcuni, riferisce l'operatore Caritas che se occupa, si sono resi disponibili ad affittare la propria casa a chi è uscito da questo percorso. Una città, Piacenza, che peraltro si è andata sempre più dividendosi in due: quella borghese e quella della cosiddetta 'logistica', prevalentemente di immigrati, quasi un non luogo. "Due mondi diversi che non si parlano", dove forse gli stessi nuovi arrivati non sono in grado di fare collettività, spiega il sociologo Giampaolo Nuvolati, ma non per questo si può verso di loro chiudere il cuore. Bisogna allora creare le condizioni più favorevoli e la Casa Accoglienza ci sta riuscendo. 

La Casa Accoglienza dedicata a don Paolo
La Casa Accoglienza dedicata a don Paolo

Una casa dove sentirsi persone e non numeri

"In un tempo in cui tutto sembrava finire, qui invece cominciava qualcosa", confida l'attuale parroco don Giuseppe Lusignani. "Paolo aveva visto che alcuni luoghi sono talvolta spietati. L'idea era proprio vivere quella piccola risurrezione nella concretezza della vita di tutti i giorni. Stiamo sperimentando che l'inizio e la fine si toccano". Rahim Loum è arrivato in gommone, è del Senegal. Ha visto naufragare altri due gommoni, nessun superstite: "Se uno non lo sa, lo fa; se uno lo sa, non lo fa", dice. Ci ha impiegato un mese e mezzo a venire su, e si sente uno tra i più fortunati. Altri infatti ci hanno impiegato più di un anno. Ora non ha solo un tetto sulla testa, ha un paracadute di socialità nuova. Un altro ospite ha dormito sui treni per quasi un anno, di pomeriggio si metteva nel sottopassaggio: "Una vita che ti segna, alla fine puoi cadere in tante tentazioni. Ti rovini. Anche nel dormitorio devi sempre stare attento a non fare passi falsi. E poi non è una casa. Qui sono in una casa che significa affetto". Di questo c'è più bisogno, e non è retorica, perché, come denuncia questo signore, "siamo diventati un numero". Alfa Bangoura dice di aver "trovato gente bravissima qui. Mi hanno dato coraggio. Dobbiamo rispettare leggi e cultura, senza avere fretta". Ed Emiliana Manenti, una volontaria, si sorprende di come, a fronte dei pesi antichi e ingombranti che questa gente si porta dentro, ci sia una forza interiore straordinaria. 

La Camotecatra i libri di Paolo per condividere speranze

Intanto, allo spazio dell'abitare si è affiancato lo spazio per condividere la parola, le storie. Lo spirito è ancora una volta creare intimità, accorciare distanze, scardinare resistenze. I numerosissimi libri che Paolo aveva conservato sono andati a formare la Camoteca. "I libri sono sempre stati una delle più grandi passioni di Paolo. Ne comprava molti, ne regalava molti, li leggeva tutti e non ne prestava nessuno. Per lui - continua Elena - erano sapienza, apertura al mondo, all’umano, a Dio. Insieme a tanta filosofia e teologia e arte e poesia e montagna, ci sono tantissimi romanzi. La narrativa contemporanea era il suo modo di stare dentro al mondo e lasciarsi interrogare per far parlare il Vangelo con quelle pagine. Il desiderio, inizialmente espresso da mamma Carmen, è stato quello che fosse un bagaglio trasmissibile, uno strumento di conoscenza e approfondimento ancora per altra gente, giovane e meno giovane. La nostra eredità è quella". E su quello è stato costruito uno spazio piccolo ma molto accogliente dove la famiglia del sacerdote organizza serate di lettura, presentazioni di libri, conferenze teologiche, laboratori per bambini e ragazzi, prestiti. "Ogni mese succede qualcosa. Qualche amico che si offre volontario per parlarci di un tema a scelta, qualche amico che ci presenta un libro, qualche altro che ci racconta una storia. Insomma: ognuno fa in libertà il suo pezzo e lo condivide con gli altri. Che poi assomiglia tanto alla vita di Paolo". 

La Camoteca
La Camoteca

L'affetto e la gratitudine al Papa "che si fece a noi vicino"

La Camoteca, inaugurata nel secondo anniversario della sua morte, aiuta a ripercorrere il suo stile libero, accogliente, sorridente, evangelico. È un luogo in cui potersi conoscere, ri-conoscere, scambiare vissuti e preoccupazioni, speranze. Così come per la Casa Accoglienza: "È un luogo dove chi ha conosciuto Paolo - precisa Elena - un po’ lo ritrova e chi non lo ha conosciuto può essere attratto dal tanto che la sua eredità ci ha lasciato". Se ne rallegrerebbe anche Papa Francesco che, a pochi giorni dalla scomparsa di Paolo, telefonò a sorpresa ad Elena per esprimerle il suo cordoglio. Anche a lui - che ieri è riuscito a vivere il suo personale Giubileo come un pellegrino tra migliaia di pellegrini per il Giubileo degli ammalati, e a rendersi presente di fronte ai fedeli riuniti a San Pietro - la polmonite ha reso in questi mesi il respiro faticoso: "A Francesco abbiamo pensato con affetto e preghiere - dice Elena - perché quando eravamo noi ad essere sofferenti lui si è fatto a noi vicino. E lo ringraziamo ancora, e sempre". 

Guarda il video in memoria di don Camminati (di Roberto Dassoni e Barbara Tondini)

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